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Se vuoi vivere felice, Cerlino narratore

Se vuoi vivere felice, Cerlino narratore

Attore Gomorra, scrittura mio primo mestiere per capire emozioni

ROMA, 09 maggio 2018, 09:30

Marzia Apice

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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FORTUNATO CERLINO, SE VUOI VIVERE FELICE (Einaudi, pp.272, 18.50 euro). Chissà se davvero la fantasia può aiutare a salvarsi da un destino apparentemente già scritto, a non prendere una strada sbagliata. Chi ci crede è senza dubbio Fortunato Cerlino, che, dismessi i panni del boss don Pietro Savastano nella serie cult Gomorra, debutta felicemente nel romanzo con Se vuoi vivere felice (Einaudi). Un esordio nel quale l'attore napoletano parte da se stesso, rimescolando la propria infanzia per ricavarne una storia dolceamara, capace di alternare l'ironia al dramma. "Scrivo di pancia, in modo istintivo, ma è il primo mestiere che ho fatto perché da piccolo giravo per Pianura scrivendo in maniera feroce per poi rileggere e capire cosa avevo vissuto.
    Ora questa è un'avventura completamente nuova, un viaggio che chissà dove mi porterà", racconta a Roma, presentando il libro con Peppe Fiore e Miriam Leone, "mi sono chiesto perché scrivere una storia che è vicina alla propria vita. Forse perché ho la presunzione di tracciare in quella storia privata qualcosa di più universale e magari raccontare anche un'epoca in trasformazione". Nel libro Cerlino ritorna agli anni '80, a Pianura, periferia di Napoli che è detta "Far West" da chi ci abita. Un territorio di frontiera, né campagna né città, un po' moderno un po' contadino, dove vive Fortunato, 10 anni, che forse inconsapevolmente sfugge a una predestinazione di miseria passando il tempo a sognare. Anche se una periferia come Pianura è soffocante, anche se ci sono sparatorie in pieno giorno e tutto intorno tanti altri compiono scelte sbagliate, il piccolo protagonista si concede questo lusso. "Ho voluto descrivere il quotidiano. Ho cercato di contestualizzare alcuni gesti violenti o esperienze tragiche, perché la spaccatura tra modernità e mondo contadino non riguarda solo Fortunato, ma tanti italiani", dice, spiegando di aver iniziato da sé e dalla sua famiglia proprio per raccontare un mondo in evoluzione. Tanti i temi che si inseguono tra le pagine: il non detto della famiglia attorno alla tavola, la violenza, le canzoni, il lavoro e la sua assenza, la Cassa del Mezzogiorno, lo stadio San Paolo, le lettere a Gesù e la devozione popolare per la Madonna. In questo quadro popolare, allegro e desolato insieme, il piccolo Fortunato sogna talmente tanto da non riuscire neppure a dormire; del resto, il sogno che coltiva è di quelli importanti, da persone grandi: andare lontano, per godere pienamente di tutto ciò che la vita può offrire. La sua mente è un vulcano pieno di fantasia: a casa - due camere da dividere con genitori, tre fratelli e una nonna, e con i soldi che non bastano mai - lo chiamano 'o strologo, quello che sa le cose. Lui chissà, tra qualche anno potrebbe fare il cantante neomelodico, l'attore, perfino l'astronauta.
    Oppure ancora meglio, potrebbe sfruttare la sua immaginazione e la sua fame di meraviglia per farsi spuntare le ali e volare via, lontano, verso la felicità, verso l'amore. "Mi sembra che rispetto ai miei genitori siano passate 80 generazioni, non due o tre. Mio padre è uomo di campagna e capisce solo il dialetto. Mia madre viene dalla città, la loro è stata quasi un'unione impossibile", afferma, "oggi ci sono scaffali pieni di merce e portafogli senza una lira: è una forma di violenza, una nuova forma di schiavismo, un modo di opprimere. I nostri sogni così diventano incubi. Oggi non si ruba per mangiare ma per comprare il telefonino".
   

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