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Mario Baudino racconta scrittori e pseudonimi

da Gary alla Ferrante il mondo e le ragioni dei nomi d'arte

(ANSA) - ROMA, 19 FEB - MARIO BAUDINO, 'LEI NON SA CHI SONO IO ' (BOMPIANI, pp. 238 - 14,00 euro).
    ''Chi dice io, in un certo qual modo, dice sempre uno pseudonimo'' avvertiva Jacques Derrida e un vero scrittore questo la sa benissimo, perché scrivendo di un personaggio, in realtà scrive di sé. Allora quando Nietzsche invoca ''Ti prego, dammi ancora una maschera, una seconda maschera'' non può stupirci, noi che siamo figli di Pirandello, tanto che è in questo senso (e non in quello tradizionale dell'arroganza) che va letto il titolo ''Lei non sa chi sono io'' di questo libro di Mario Baudino, dedicato agli scrittori che hanno fatto uso di pseudonimi.
    Naturalmente le ragioni sono le più varie, da chi, come Alberto Pincherle, Giorgio Bassani o Natalia Ginzburg, si trasformarono stabilmente o occasionalmente in Alberto Moravia, Giacomo Marchi e Alessandra Torninparte per sfuggire ai divieti di pubblicazione loro imposti dalle leggi razziali nell'Italia fascista, o come l'inglese David John Moore Cornwell diventato John Le Carré perchè la vita da agente segreto sotto copertura (come si verrà a sapere quando sarà smascherato dal collega filo-sovietico Kim Philby) e il marocchino Mohammed Moulessehoul che è nell' esercito e pubblica libri socialmente e politicamente considerati 'scandalosi', sino a chi invece cerca una seconda maschera.
    Il caso più interessante su cui si sofferma Baudino, e che è un po' perno e punto di partenza della ricerca di questo libro, è certamente Romain Gary, ebreo lituano di nome Roman Kacew (autore col suo nome di ''Il vino dei morti'' nel 1937) divenuto nel dopoguerra importante scrittore francese (paese dove arrivò a 13 anni) e personaggio noto, decorato aviatore gaullista, membro della resistenza antinazista, bello e fascinoso (la sua seconda moglie sarà l'attrice Jean Seberg). Col suo nome francese si rivelò con ''Una educazione europea'' subito dopo la Liberazione e vinse il Goncourt nel 1956 con ''Le radici del cielo'' e lasciò postumo (pubblicato nel 1981, un anno dopo il suo suicidio) ''Vita e morte di Emile Ajar'' in cui rivelava di essere lui appunto quell' Ajar sotto il cui nome, negli anni '70, aveva conquistato fama con 4 romanzi e persino vinto, caso unico, un secondo Goncourt con ''La vita davanti a sé''. Gary e Ajar in russo significano rispettivamente 'brucia' e 'braci'. Ma non basta e nella sua bibliografia esiste anche un Fosco Sinibaldi che firma un testo satirico, ''L'uomo con la colomba'', nel 1958 e un Shatan Bogat, autore di un poliziesco impegnato, ''Le teste di Stéphanie'', del 1974.
    Gary apparentemente non fugge o non vuol nascondere nulla, ma quando trova che il rilevante e vitale mondo letterario che ha vissuto e in cui ha trovato il successo ha perso la sua carica, inventa il giovane scrittore Ajar andato a vivere in Brasile, contestatore postsessantottino, che porta nuova linfa all'arte.
    In più, come spiegò prima di morire, cambiando nuovamente nome voleva dimostrare fino a qual punto ''un autore può restare prigioniero 'della faccia che gli hanno creato', come diceva bene Gombrowicz. Una 'faccia' che non c'entra nulla con la sua opera e nemmeno con lui stesso''. Dalla critica a quel tempo era dato come non più all'altezza dei suoi lavori più famosi, così si impegna nella realizzazione di quel che chiamerà ''romanzo totale'', quello in cui lo stesso autore diventa un personaggio letterario, in un sorta di fuga di specchi. Poi c'è ovviamente il caso di Elena Ferrante, della presunta moglie di un noto scrittore che quando inizia a scrivere anche lei sceglie uno pseudonimo e ha un successo internazionale che la imprigiona e assieme scatena la curiosità. E lei spiega, rifiutando di rivelarsi: ''Credo che i libri, una volta scritti, non abbiano bisogno degli autori. Se hanno qualcosa da raccontare troveranno presto o tardi lettori''. Così il gioco degli pseudonimi, degli scrittori sconosciuti e di quelli che poi si scoprono, diventa un gioco dalle molteplici letture e necessità che Baudino indaga e ricostruisce andando naturalmente indietro nel tempo e spaziando tra tutte le letterature, così da farci scoprire chi fosse in realtà Alcofribas Nasier, chi Henri Beyle, Isak Dinesen o Claire Morgan, coinvolgendoci in una sorta di continua alzata di sipario su questo teatro di apparenze in cui, come diceva Pirandello, ''la vita o la si vive o la si scrive''.
   

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