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La rivoluzione delle donne islamiche

La rivoluzione delle donne islamiche

Capretti racconta le protagoniste del cambiamento musulmano

ROMA, 28 giugno 2017, 10:37

di Marzia Apice

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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LUCIANA CAPRETTI, LA JIHAD DELLE DONNE. IL FEMMINISMO ISLAMICO NEL MONDO OCCIDENTALE (Salerno Editrice, pp.152, 12 Euro). E' un emozionante e lucido viaggio tra Europa e Stati Uniti quello percorso dalla giornalista Luciana Capretti per incontrare le tante protagoniste del suo ultimo libro, dal titolo La jihad delle donne e pubblicato da Salerno Editrice. Nel volume, presentato al Salone del Libro di Torino e in arrivo il 1° luglio al Caffeina Festival di Viterbo, trovano le spazio le parole e le riflessioni di alcune delle donne più autorevoli del mondo musulmano moderno, coloro che con la propria voce 'altra' stanno guidando il difficile e rivoluzionario processo di deradicalizzazione dell'Islam.
    Determinate nel loro orgoglioso 'femminismo islamico' (termine coniato nel 1995, durante la quarta Conferenza Mondiale sulle Donne delle Nazioni Unite a Pechino), queste donne vogliono riportare l'Islam "alla sua essenza originaria, fatta di giustizia ed eguaglianza fra i sessi", scrive Capretti, rifiutando l'interpretazione del Corano di stampo patriarcale in voga da 14 secoli semplicemente "perché Dio ama tutta l'umanità e non privilegia metà di essa". Nella sua indagine, Capretti si è imbattuta in personaggi di forte carisma. C'è Amina Wadud, che nel 2005 a New York ha condotto la 'salah al-jum'ah', la preghiera del venerdí di fronte a una comunità di uomini e donne, diventando la prima 'imamah' afroamericana riconosciuta dei nostri tempi. Ed è sempre lei a rileggere il Corano, reinterpretandolo con occhi femminili, rivelandone l'impianto non patriarcale ma basato su uguaglianza e alleanza tra uomini e donne. C'è poi Sherin Khankan, la prima imamah danese, che a Copenhagen ha appena inaugurato la prima moschea d'Europa diretta da donne per donne.
    E ancora, c'è Rabeya Müller, prima donna imamah in Germania che a Colonia ha fondato un centro studi nel quale promuovere il messaggio di un Corano senza distinzioni di genere. Con il loro esempio la 'jihad delle donne' ridà a un termine simbolo di terrore il suo significato originario di 'sfida personale'. Ciò che emerge dall'Islam femminile descritto dalla Capretti è un universo permeato da culture diverse, ognuna in grado di nutrire le altre formando un insieme ibrido e aperto capache di accendere la miccia del cambiamento. Del resto già a cavallo tra '800 e '900 l'esigenza di salvare le donne dal giogo maschile e dalla privazione dei diritti è partita da dentro il mondo musulmano attraverso alcune attiviste, come Malak Hifni Nasif (1886-1918), la prima giornalista egiziana, Huda Sha'rawi (1879-1947) che per prima diede vita a un movimento femminista politico o Mayy Ziyada, che per 20 anni divenne la protagonista del primo salotto letterario per donne e uomini del Cairo e fu poi rinchiusa in manicomio. Il vento della liberazione ha continuato a soffiare attraverso le donne al governo, come Benazir Bhutto in Pakistan, Khalida Zia e Shaikh Hasina in Bangladesh, Tansu Ciller in Turchia e Megawati Sukarnoputri in Indonesia. Un processo inarrestabile, che arriva fino alle donne incontrate direttamente dall'autrice, tutte oggi vere protagoniste di una mutazione culturale musulmana non più procrastinabile. E non sorprende ritrovare la tenacia e la determinazione delle donne nella storia più antica dell'Islam: basti pensare alla schiava Hajar, la concubina che diede ad Abramo il suo primogenito Ismaele, la quale dopo essere stata abbandonata con il bambino nel deserto, non si lasciò abbattere dimostrando resistenza e fede. Rimasta sola, ricevette l'aiuto di Dio ma solo dopo aver cercato di farcela da sola: e proprio il suo bambino divenne da adulto il capostipite di un nuovo popolo. Per questo Hajar è "il paradigma del femminismo islamico", e nel suo nome le donne islamiche del terzo millennio rinnovano la propria forza.
   

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