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'Eleganza Fascista' tra donne e regime

'Eleganza Fascista' tra donne e regime

Sofia Gnoli risale alle origini storiche del made in Italy

ROMA, 08 aprile 2017, 13:41

Patrizia Vacalebri

ANSACheck

La copertina di Eleganza Fascista - RIPRODUZIONE RISERVATA

La copertina di Eleganza Fascista - RIPRODUZIONE RISERVATA
La copertina di Eleganza Fascista - RIPRODUZIONE RISERVATA

 SOFIA GNOLI, ELEGANZA FASCISTA (Carocci Editore, Sfere; pp 211, euro 25) - "Una moda italiana... non esiste ancora; crearla è possibile, bisogna crearla", scriveva Benito Mussolini sul quotidiano 'Il Popolo d'Italia', nel 1932, pensando forse alla lunga egemonia dei francesi nell'abbigliamento sartoriale di quegli anni cominciata secoli prima. Anche se il riconoscimento internazionale della moda italiana avviene intorno agli anni Cinquanta, le sue radici, vanno dunque ricercate molto più indietro, sostiene Sofia Gnoli, giornalista e scrittrice, docente di storia della moda all'Università La Sapienza, nel suo ultimo saggio sulla moda, ampiamente corredato da foto e illustrazioni d'epoca, intitolato Eleganza Fascista.

I primi tentativi di creazione di una moda indipendente da quella francese risalgono infatti ai tempi del Risorgimento. Ma nel 1906 la sarta Rosa Genoni presentò all'Esposizione internazionale di Milano una collezione di abiti ispirata alle opere di artisti del Medioevo e del Rinascimento italiano. Dopo questi sporadici episodi, il tema di una moda nazionale venne ripreso in maniera più sistematica negli anni Venti dalla giornalista Lydia De Liguoro, fondatrice della rivista 'Lidel'.

Ma anche i suoi tentativi rimasero legati a motivi retorico- nazionalistici. Ancora all'inizio degli anni Trenta l'indiscussa capitale della moda rimaneva Parigi. Nella capitale francese si recavano i maggiori sarti italiani due volte l'anno, in coincidenza con la presentazione delle collezioni, e lì acquistavano i modelli di Chanel e Patou, di Lanvin e Madame Vionnet. Nel 1931, all'apice della crisi economica dovuta alla ripercussione del crollo di Wall Street, vennero commissionate dal regime delle statistiche ufficiali dai cui risultati emersero dati allarmanti sulle importazioni fatte dalle "vanitose donne italiane".

Fu allora che per nazionalizzare il ciclo di produzione dell'abbigliamento e per arginare le importazioni dalla Francia, il regime diede vita all'Ente nazionale della moda. Tuttavia, pur godendo di un notevole potere sul piano teorico, su quello pratico l'azione dell'Ente risultò spesso contraddittoria. Tale situazione rispecchiava le incoerenze del regime nei confronti sia della concezione della donna - divisa tra il modello emancipato e quello dell'angelo del focolare - sia della modernizzazione, sospesa tra un avanguardismo spesso velleitario e il peso della tradizione e della conservazione.

Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, mentre i paesi alleati prendevano atto del momento di difficoltà, varando una sorta di moda di Stato, l'Italia, vista l'attenzione che il regime prestava alla moda e il valore propagandistico che le attribuiva, minimizzò a tal punto le difficoltà che fino al 1942 è difficile trovare nella stampa di moda riferimenti alla guerra. Se le incongruenze dell'Ente ne provocarono per certi versi il soffocamento delle iniziative, è vero che bisogna riconoscerne i meriti. Grazie a esso infatti vennero gettate le basi per la futura affermazione internazionale dello stile italiano.

Costruito sulla base dei documenti superstiti dell'Ente nazionale della moda e della stampa femminile del Ventennio, questo volume oltre a essere una rivisitazione del mio vecchio libro La donna, l'eleganza, il fascismo (Edizioni del Prisma, 2000), riprende approfondendoli alcuni spunti di Moda. Dalla nascita della haute couture a oggi (Carocci, 2012).

   

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