JONATHAN FRANKLIN, 438 GIORNI (Fabbri Editori, pp.264, 17,50 Euro). Sembra quasi di poterlo sentire l'Oceano sferzarci la pelle, gli occhi e le narici con tutta la sua forza maestosa leggendo le pagine di "438 giorni" (Fabbri), il libro del giornalista Jonathan Franklin che racconta l'incredibile storia vera di un umile pescatore miracolosamente scampato a un lunghissimo naufragio. La vicenda è di quelle forti, che colpiscono tanto sono al limite della realtà. Quando nel 2012 Salvador Alvarenga uscì per una battuta di pesca insieme al giovane e inesperto aiutante Ezequiel Córdoba, lasciando dietro di sé le coste del Messico, nulla faceva presagire ciò che sarebbe successo. Certo, il cielo prometteva tempesta ma Salvador aveva imparato fin da giovanissimo a interpretare i segnali lanciati dal mare. Proprio per l'esperienza maturata in 300 mila miglia di navigazione nella sua carriera di pescatore di quel mare però non avrebbe dovuto fidarsi: le onde altissime e le raffiche di vento ben presto hanno reso la sua barchetta in fibra di vetro, lunga solo 7 metri, la biglia impazzita di un flipper in mezzo all'Oceano Pacifico. Dopo la perdita del motore e di ogni sistema di comunicazione, in preda ai morsi della fame, con la gola secca per la sete e con il concreto rischio di impazzire, l'incubo in balìa di una distesa infinita d'acqua salata ha esiti ancora peggiori. Fatali, nel caso di Ezequiel che morirà durante la traversata, e al limite della sopravvivenza per Salvador.
L'indomito pescatore infatti è rimasto lontano dalla terraferma per 14 interminabili mesi, bevendo la propria urina e cibandosi di qualsiasi cosa fosse commestibile, i pesci ovviamente, ma anche le meduse, le tartarughe e gli uccelli, e le proprie unghie. A volte il sole cocente, altre volte la pioggia hanno reso il suo viaggio un tormento: solo l'aver conservato un barlume di ragione (anche grazie alle chiacchierate immaginarie con uno squalo), ha tenuto lontana, anche se di un millimetro, una morte certa. Dopo più di un anno è arrivata la salvezza, a 6.700 miglia da dove era partito, sulla spiaggia di Tile Island, nell'atollo di Ebon, e con essa anche il lento, ma difficile ritorno a una sperata normalità. Scritto con passione ed estrema chiarezza, il libro colpisce e affascina, permettendo al lettore di entrare nelle viscere di una storia coinvolgente. Merito dello stile asciutto ma mai freddo di Franklin, e soprattutto della sua voglia di scoprire come sono andati davvero i fatti partendo dalla viva voce del protagonista. Ansioso di maneggiare la verità (o qualcosa che le si avvicinasse il più possibile), l'autore ha infatti intervistato Salvador più di 40 volte, ricostruendo ogni dettaglio e confrontando la sua versione (e i suoi punti oscuri) con pareri di esperti come medici e meteorologi e con testimonianze di persone vicine al pescatore. Il risultato è un bel libro, che proprio perché accanto ai fatti indaga anche la mente del protagonista spinge davvero il lettore ad arrivare all'ultima pagina, tenendo il fiato sospeso in questa odissea magica e terribile al tempo stesso.
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