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La Palmira nomade e raffinata di Paul Veyne

Esce saggio archeologo su storia città siriana distrutta da Isis

 (ANSA) - ROMA, 26 AGO - PAUL VEYNE, PALMIRA (GARZANTI, PP 104, EURO 15). L'antico splendore di Palmira torna a vivere nel libro dell'archeologo Paul Veyne che, dopo la distruzione della città siriana, conquistata dall'Isis nel 2015, ha sentito "il dovere" di manifestare il suo "sbigottimento" di fronte a questa barbarie. Veyne in 'Palmira', che arriva in libreria per Garzanti, ci consegna il ritratto di una delle aree archeologiche più preziose del mondo mostrandoci lo spirito di "libertà, anticonformismo e multiculturalismo" che ha sempre soffiato in quel sito.

Dedicato all'archeologo Khaled al-Assad, direttore generale delle Antichità di Palmira - decapitato un anno fa, il 18 agosto, "per essersi interessato agli idoli" - il saggio ripercorre la storia della città, dichiarata patrimonio mondiale dell'umanità dall'Unesco e conosciuta per le sue bellezze come la 'Venezia di sabbia', con uno stile diretto e coinvolgente, da "scrittore magnifico oltre che grande storico" come ne ha parlato Emmanuel Carrere. La siriana Palmira appare davvero come un altro mondo: un posto in pieno deserto dove la ricchezza era presente ovunque, le statue erano di bronzo, non di marmo, il grande tempio aveva colonne con capitello in bronzo dorato, le donne non avevano il volto velato e alcune portavano larghi pantaloni a sbuffo. Dove si indossavano abiti greci o arabi, dove si parlava aramaico, arabo, greco e perfino latino. "Luogo civilizzato e raffinato" Palmira era anche "pericolosamente vicina alla barbarie nomade" dice l'archeologo. Ed è proprio questa sua diversità e unicità a venir raccontata da Veyne, tra i massimi esperti delle civiltà antiche, in un viaggio che diventa il manifesto dei valori della convivenza e del multiculturalismo. "Palmira non era una città siriana come le altre, così come Venezia, a contatto con la civiltà bizantina e i turchi, non rappresentava l'Italia intera" viene sottolineato nel libro.


Ed è proprio questo suo essere snodo di popoli e civiltà diverse, fra cui l'illuminata corte della regina Zenobia, a fare di Palmira un luogo del futuro nel lontano passato, un tesoro perduto anche da questo punto di vista. Regina in greco e 'madre del re dei re' in aramaico, Zenobia, aveva una grande passione per la cultura e le religioni, con in cima il giudaismo, ed era arrivata ad offrire sostegno anche ai sostenitori del manicheismo. Il suo profilo appare in alcune monete ma non si conosce il vero volto di Zenobia,, figura leggendaria, paragonata da alcuni autori antichi a Cleopatra alla quale attribuiscono, al contrario della Regina d'Egitto, il premio di castità. Anche le opere d'arte hanno una loro originalità come mostra lo stile ibrido in cui viene imitata l'arte del ritratto greco-romano insieme a "vecchie abitudini, ereditate da un sostrato orientale, cui si aggiungevano un "primitivismo" senza età, frontalità e occhi da maschera" spiega l'autore.
    "Ostinarsi a conoscere una sola cultura, la propria, significa condannarsi a vivere una vita soltanto, isolati dal mondo che ci circonda" dice Veyne che neppure tanto indirettamente risponde così alla domanda che si pone all'inizio del libro: "perchè l'arte è il nemico dei nuovi terroristi?" e "perchè propio Palmira?". (ANSA).
   

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