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Romana Petri, mio padre gigante sensibile

Esce 'Le serenate del Ciclone' per Neri Pozza

(ANSA) - ROMA, 28 OTT - ROMANA PETRI, LE SERENATE DEL CICLONE (NERI POZZA, PP. 590, EURO 18). Un gigante sensibile, un "leone con il cuore di gazzella". Mario Petri, cantante lirico, attore, uomo bellissimo, viene raccontato dalla figlia, la scrittrice Romana Petri, in un libro speciale: 'Le serenate del Ciclone', che è un romanzo, un memoir familiare, un ritratto dell'Italia dal 1922 al 1985. E anche un modo per dare una seconda chance e rendere giustizia a un animo fragile che ha lavorato con personaggi come Maria Callas, Herbert von Karajan e Sergio Leone e ha ricevuto in dono da Thomas Mann una copia autografata del 'Dottor Faustus'. Scritta in un anno, tutta d'un fiato, la storia ha avuto un'elaborazione di 25 anni che è costata molto all'autrice. "Non sapevo come affrontarlo perché il dolore per la sua morte non è mai scemato, ancora oggi è così. Non mi andava di scrivere il classico libro sul padre che è già padre quando inizia il romanzo. Non è una resa dei conti. Volevo riprenderlo tutto questo padre. Sono partita dalla sua mancanza. Ho vissuto con pezzetti di carta in tasca, ossessionata da questo libro" spiega Petri, autrice di libro come 'Alle Case venie' e 'Figli dello stesso padre', due volte finalista al Premio Strega, traduttrice, ex editrice della Cavallo di Ferro, che ora vive tra Roma e Lisbona.
    'Le serenate del Ciclone' si apre con la nascita nel 1922 di Mario Petri, nome d'arte di Mario Pezzetta, nella campagna umbra, con il racconto del parto e le doglie di sua madre Ersilia. Per rendere l'atmosfera la scrittrice usa anche il dialetto umbro. "Era l'Italia analfabeta, non l'Italia della televisione. La prima parte è stata un salto nel buio. Mi sono basata sui racconti che mi faceva papà della sua infanzia e adolescenza e su quelli di mia madre, di mia nonna. E poi su foto e documenti per scrivere cose che non ho vissuto direttamente e mi sono anche divertita. Mentre nella seconda parte, quando ci sono anch'io, ho raccontato cose che conosco molto bene ed è stato più difficile. In entrambe c'è dell'invenzione perché è un romanzo, non una biografia" dice l'autrice. Quello che è certo è con il padre la scrittrice aveva una grande sintonia e complicità come mostra l'immagine in copertina: una foto di famiglia in cui la piccola Romana stringe la mano a Mario Petri che nell'altra tiene aperto un libro.
    "Eravamo sul set di 'Capitani di ventura' a Castel Sant'Angelo. Pur essendo bambina avevo la sensazione che lui mi avrebbe protetto dal mondo, ma io dovevo difenderlo dagli altri per la sua sensibilità. Bastava una parola a lacerarlo". E non aveva torto Romana come mostra bene quello che accadde nel 1975 con il Macbeth di Riccardo Muti dopo il quale il padre non si è più ripreso, "fino a morire" dice all'ANSA Romana Petri.
    "Muti aveva voluto mio padre per il Macbeth, contro tutti, ma dopo l'uscita di un ampio articolo sullo spettacolo firmato da un famosissimo critico, il Maestro è scomparso, non lo ha mai più chiamato. Nell'articolo si diceva che l'interpretazione del Macbeth era stata tra le più grandi che ci fossero mai state, mentre la direzione di Muti veniva definita un po' bandesca" racconta. "Mio padre aveva una vera e propria adorazione per Muti e non averlo più visto né sentito per lui è stato davvero un tradimento. Ha lasciato le scene, si è ritirato in campagna dove si è auto dilaniato, corroso. E' morto nel 1985 a 63 anni per l'esplosione della vena aorta. Muti non se ne sarà neppure accorto di quello che aveva significato per lui. La persona fragile era mio padre, non ammetteva tradimenti nell'amicizia.
    Era un uomo senza sfumature, un autodistruttivo. Era umile e grande lavoratore. Mia madre lo ha amato in maniera completa" spiega l'autrice.
    Romana Petri si è sentita "un po' madre" di questo padre sensibile. Con lui avevo un rapporto di grande amicizia virile, senza smancerie. A 16 anni mi ha messo in mano una pistola prima di partire, lui aveva il porto d'armi, e mi ha detto di difendere la famiglia" dice la scrittrice. E aggiunge: "non si parla mai, e bisognerebbe farlo, di come i figli vedono i genitori. E' il primo rapporto vero della nostra vita. Questo è un romanzo non su come mio padre mi ha danneggiata ma su quanto lo ho amato" e scrivendo "mi sono innamorata di nuovo del Kid, figura leggendaria di cui mio padre mi parlava salvandomi perché alla sua si aggiungeva, per me, un'altra leggenda". "Il babbo, il Kid, Charles Bronson. La mia Trinità. Spesso mi domando: ma io, come faccio a vivere senza di voi?" afferma nell'epilogo Romana Petri che ha sempre avuto una visione ludica della letteratura. (ANSA).
   

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