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La tv invadente non rispetta il dolore

La tv invadente non rispetta il dolore

Il saggio di Anna Bisogno racconta il genere nato dopo Vermicino

ROMA, 04 agosto 2015, 12:47

Elisabetta Stefanelli

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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ANNA BISOGNO, 'LA TV INVADENTE. Il reality del dolore da Vermicino ad Avetrana'. (Carocci, pag. 111, euro, 13,00)

Quando non sei più tu ad andare in salotto, sederti sul divano e accendere la tv pigiando il tasto del telecomando... quando la tv t'insegue, nei momenti più intimi, asciugando le tue lacrime, registrando le tue urla, è allora che il confine è crollato e la tv, invadente, diventa tv del dolore.

    ''Trent'anni fa venne sdoganata in Italia la tv del dolore'', c'insegna Anna Bisogno, brillante docente di Storia e linguaggi della radio e della televisione a Roma Tre, che quotidianamente dimostra il suo talento in un dialogo con il mondo portato avanti attraverso i social network. Quel giorno era il 13 giugno del 1981 e un bambino, Alfredino Rampi, era caduto in un pozzo artesiano da cui non uscì più.

    Rimase in quel pozzo per le 18 ore di una lunghissima e ininterrotta diretta televisiva, seguita morbosamente da milioni di italiani, che ancora scuote la coscienza di chi ne ha un qualche ricordo, ma che ha cambiato inesorabilmente la storia della tv in Italia. E' servito, scrive sapientemente Bisogno, ''a sdoganare questo nuovo genere di spettacolo basato sulla sofferenza'', poi declinato in numerosissimi programmi di tv ''straziata e straziante'', come Chi l'ha visto?, e poi nei talk del dolore come Porta a Porta, fino a C'è posta per te. Programmi che, come nota l'autrice, ''presentano numerose affinità con il classico intreccio melodrammatico'', passando attraverso il reality e il suo padre Il grande fratello.

    Qui comunque ''il voyerismo dello spettatore si combina con l'esibizionismo delle spettacolo e dei suoi protagonisti'', in una miscela esplosiva che via via, nei programmi sempre più parlati, sempre più urlati, in una diretta senza filtri, hanno preso il sopravvento e conquistato facilmente ascolti. Il dolore televisivo, dopo Vermicino, ha consolidato negli ultimi anni i suoi luoghi di culto: da Cogne a Erba, da Garlasco a Perugia, da Novi Ligure a Avetrana. Teatro di tragedie che hanno dato linfa alla crisi della tv generalista, dove persino lo scambio teatrale dei talk show oramai ha perso completamente il suo appeal. Spettacolo mascherato da informazione, anzi infotainment a basso costo, la tv del dolore è in continua trasformazione, insegue le ansie dello spettatore, restituendole al mittente senza filtri, senza strumenti di analisi, senza armi difensive.
 
  ''Per il successo di audience ci vuole qualcosa di più: è l'ingrediente più efficace che la tv sa fornire è la morbosità''. Fosse anche la diretta di un funerale, o la lite di un pomeriggio davanti alla signora del genere, ovvero quella Barbara D'Urso, ''odiosa e odiata'' ma che ''il suo mestiere lo sa fare''. Insomma, nei giorni del dibattito acceso sul rinnovo del vertice della tv pubblica, un utile strumento di riflessione dal quale, chi guarda ai programmi del futuro, dovrebbe partire per dire qualcosa di più e di diverso. Per fare una tv che non sia invadente ma complice.

   

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