(di Paolo Petroni)
JOYCE CAROL OATES, ''SULLA BOXE''
(Ed. 66THAND2ND, pp. 236 - 17,00 euro - Traduzione di Leonardo
M. Pignataro).
''La boxe professionistica è l'unico grande sport americano
le cui energie primordiali, e a volte omicide, non sono deviate
con falso pudore da oggetti come palle o dischetti di gomma'',
scrive Joyce Carol Oates, definendo il pugilato ''la più
primitiva e terrificante delle competizioni'' in apertura del
suo scritto ''Il più crudele degli sport''. Si tratta di uno dei
nuovi interventi che arricchiscono il celebre saggio ''Sulla
boxe'' di questa grande scrittrice americana, che torna appunto
con varie appendici a 27 anni dalla sua prima edizione italiana,
proposta nel 1988 dalle edizioni E/O.
La boxe non va, per la Oates, considerata metafora di
qualcos'altro, la boxe non è come la letteratura, la boxe
''pretende di essere superiore alla vita perché, idealmente, è
superiore a ogni evento fortuito. Nella boxe non c'è niente che
non sia del tutto voluto'', e ancora ''una delle cose principali
che caratterizza la boxe è la menzogna'', suggerisce sempre la
famosa scrittrice americana, donna all'apparenza minuta e
fragile, molto distante da ogni idea di violenza, ma che ha
frequentato gli incontri sin da ragazzina, appresso a suo padre
e a un pugile che del padre era caro amico e le ha insegnato a
capire cosa veramente fosse quello sport particolare.
Le sue storiche pagine sulla boxe così sono una personale
riflessione, quasi un monologo per spiegare a se e agli altri
cosa nasconda e davvero sia, raccontando certo, ma soprattutto
costruendo idee, riferendo suggestioni, suggerendo spunti di
riflessione che hanno un loro fascino ancora oggi. Osserva e
commenta questo sport con attenzione, partecipe e mai
colpevolizzante, anzi denunciando come ''in America nessun altro
sport o attività abbia subito attacchi così persistenti e
infervorati, per ragioni sia morali che di altro genere'' e
portando esempi su esempi di incontri storici, come insinuando
che sia il più fortemente omosessuale degli sport
nell'esaltazione di tanta fisicità solo maschile. E assieme
molto primitivo, come lo sono la nascita, la morte e il sesso
''ricordandoci che le esperienze fondamentali, di noi esseri
fondamentalmente spirituali, sono eventi fisici''.
Così questo volume, esplorazione di una donna dell'universo
maschile, contiene anche i suoi scritti su Mike Tyson, su
Muhammad Alì ''il più grande'', su Jack Johnson, sull'incontro
tra Joe Luis e Max Schmelling, pagine tutte che diventano, non
meno, anzi meglio di certi suoi romanzi, illuminanti sulla
cultura e la società americana, sulla fondazione dei suoi miti,
sul rapporto tra bianchi e neri, sulla competitività estrema e
il farsi da sé, sul selvaggio West, sulla passione per i soldi e
il successo. ''Come tutte le azioni umane estreme ma effimere,
la boxe eccita non solo l'immaginazione dello scrittore, ma
anche il suo istinto a farsi testimone'' e ''nessuna altro
soggetto è così intensamente personale per lo scrittore'',
perché tutto sta in quello che la scrittrice chiama il paradosso
della boxe, uno spettacolo dal fascino ossessivo basato sulla
prestanza fisica e esperienza emotiva impossibile da esprimere a
parole: ''una forma d'arte che non ha analoghi naturali nelle
arti'', visto che ''ogni incontro di boxe è una storia, un
dramma senza parole, irripetibile e estremamente condensato.
Anche quando non succede niente di speciale. In quel caso il
dramma è puramente psicologico''.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA