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L'America di 'Democracy' di Joan Didion

L'America di 'Democracy' di Joan Didion

Amori e affari per un ritratto impietoso del declino Usa

ROMA, 31 gennaio 2015, 15:51

Paolo Petroni

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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JOAN DIDION, ''DEMOCRACY'' (Ed. E/O, pp. 206 - 16,50 euro - Traduzione di Rossella Bernascone)

    Un romanzo d'amore, un triangolo su sfondi esotici e di lusso, ma solo in superficie perché questo piccolo, affascinante lavoro di Joan Didion, in realtà, via via che procede, si rivela uno ritratto spietato della degenerazione della classe dirigente e della politica del suo paese, partendo dall'immediato dopoguerra per arrivare agli anni '70, facendo perno sulla sconfitta Usa nel 1975 in Vietnam e l'abbandono di Saigon e dell'ambasciata Usa, di cui si ricordano le immagini con gli elicotteri che partono dal tetto del palazzo.

    Un momento simbolico e cruciale per chi vuole far risaltare gli interessi privati, il giro d'affari che sta dietro il nuovo imperialismo americano, la mancanza di qualsiasi remora morale che contamina il mondo dell'informazione; la cartina di tornasole per la cinica scusa di voler difendere nel mondo quella Democracy che dà sarcasticamente il titolo a questo romanzo modernamente ricco e sfaccettato, i cui protagonisti dell'alta società bevono un po' troppi cocktail in belle ville o alberghi tra Kuala Lampur e Hong Kong, Manila e Honolulu e, naturalmente, New York e Washington.

    La Didion è una delle figure più in vista del cosiddetto New Journalism, e proprio con quell'ottica e esponendosi in prima persona come narratrice racconta storie che costruisce quasi come fossero frutto di una sua inchiesta, di una raccolta di informazioni utili che le permettano di saperne il più possibile e anche immaginare i vuoti, riferendo al lettore le sue varie ipotesi su comportamenti e procedere dell'azione. I suoi interventi commentano spesso o spiegano perché preferisca seguire una certa traccia o quel protagonista piuttosto che altro, cosa che, a metà anni '80 quando il romanzo uscì, suscitò perplessità, mentre ancor oggi si rivela sistema intrigante e non scontato.

    La storia ha al centro Inez Christian, donna bella e seducente, ricca e con le amicizie e una vita sociale alta e dedita a raccolte fondi per opere umanitarie, che figura essere una ex collega a Vogue della narratrice, che riferisce degli appassionati incontri d'amorosa amicizia che resiste lungo gli anni e le città del sud-est asiatico di lei con Jack Lovett, uomo d'affari o spia, o forse tutte e due le cose, e di cui non si capiscono i traffici un po' loschi. Il problema è che Inez è la moglie di un senatore degli Stati Uniti che cercherà anche di correre per la Casa Bianca e ha alle spalle un trauma dopo il quale comincerà come un lento e inesorabile processo di autodistruzione: l'uccisione, da parte di suo padre, di un'altra sua figlia sposata. Inez ha anche due figli pieni di problemi, visti i genitori, Adlai, nevrotico e vacuamente ambizioso, e Jessie, drogata e inquieta fuggita a Saigon in cerca di un lavoro proprio nel momento in cui tutto sta crollando, ma le risorse del fido Jack sono infinite e riuscirà a ritrovare la ragazza nel caos di quei gironi. Un disastro e un caos che vede combaciare quello storico con quello privato della protagonista, che cerca di cambiar vita per ritrovarsi però sempre più sola. Un bel mondo sull'orlo della fine con echi alla Fitzgerald, una narrazione che sembra costruirsi per frammenti, come un montaggio cinematografico, e una scrittura accattivante e coinvolgente più acida di quel che sembra nel distruggere il mito del sogno politico americano e anticipare certa letteratura americana degli anni '90. E non si può non ricordare l'altro successo di Joan Didion, ''Diglielo da parte mia'' e la storia di dolore e vuoto di Charlotte Douglas in uno staterello dell'America latina sotto l'ombra inquietante e cupa degli Usa.
   

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