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Don Carmelo... selvatico come Stromboli

Don Carmelo... selvatico come Stromboli

Fabio Tracuzzi racconta il padre difficile e tanto amato

ROMA, 16 dicembre 2014, 10:51

Francesco Gallo

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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FABIO TRACUZZI, CARMELO, BEATO LUI. IL VULCANO STROMBOLI E IL CANE PIPINO (MAIMONE EDITORE, PP.81)

Evviva la realtà se ha la faccia lavica di Don Carmelo Tracuzzi, tutta rughe e solchi a indicare che l'uomo non era facile.

    Gentile per alcuni, aspro per altri. Difficile da catalogare, Don Carmelo Tracuzzi diventa così oggetto di interpretazioni, di letture diverse come i personaggi di Pirandello. Come se si piombasse dentro il film 'Rushomon' di Akira Kurosawa. Così è anche per il libro del figlio Fabio Tracuzzi che si mette nella difficile impresa di ricordare un padre ingombrante quanto amato in 'Carmelo, beato lui. Il vulcano Stromboli e il cane Pipino'.

    ''Pagine che raccontano, foto che accompagnano. Un libro, un insieme di pagine. Un atto d'amore. Verso un uomo, mio padre, e verso un'isola, Stromboli. Carmelo col suo cane (Pipino) e la montagna (Stromboli)'' così l'incipit di Tracuzzi che nella vita fa il giornalista.

    Insomma chi era Carmelo Tracuzzi? Considerato che le foto raccontano meglio delle stesse parole il personaggio, tra le cose certe che si possono dire di lui è che Carmelo era un uomo selvatico. Un uomo che, con un atto di coraggio, da un giorno all'altro, inseguendo un grande amore, si trasferisce nella più selvaggia delle isole. Un'isola dura, animata, come è, anche dalle forze irriducibili del vulcano.
    Nato negli anni Venti l'uomo approda a Stromboli nel 1950 al seguito del film omonimo di Rossellini interpretato dalla Bergman. E lo fa abbandonando la sua Catania, il suo lavoro e la sua famiglia. Qui nell'isola allestisce un ritrovo-ristorante, La Trave, che porta a Stromboli quel tocco di raffinatezza che non c'era mai stato: dal caviale alle aragoste, fino ovviamente ai piatti tipici e a delle solide parmigiane di melanzane. Un ristoratore atipico. Codino e jeans strizzati sul corpo magro più che avere dei clienti, aveva ospiti da lui tollerati, ma fino a un certo punto. Qualcosa di sbagliato e arrivavano i suoi ''sguardi inceneritori e le sue battute al vetriolo''.

    ''Le sue ombrosità non mi spaventavano affatto anzi mi erano affettuosamente familiari, ma la perentorietà dei suoi numerosi giudizi, i repentini cambiamenti di umore e, soprattutto, la totale imprevedibilità, mi spingevano a guardarlo con timore, come fosse una specie strana e nuova nel mio universo di adolescente. Oggi capisco che tra Carmelo e Stromboli, ora come allora, non v'era e non v'è confine'' dice nell'introduzione la nipote Daniela Tracuzzi.

    Questa mancanza di confine, tra Carmelo e l'isola, c'è anche sicuramente tra l'autore, il padre e Stromboli. ''A Stromboli ho conosciuto la vita, l'amore, la morte - dice nel libro Fabio Tracuzzi -. A Stromboli sono cresciuto per la prima volta, ho fatto l'amore per la prima volta, mi sono innamorato per la prima volta, mi sono innamorato per l'ultima volta, ho conosciuto mio padre, ho visto vivere mio padre, ho visto morire mio padre. Ho visto il dolore e la disperazione, la gioia, la felicità''. Insomma 'Carmelo, beato lui. Il vulcano Stromboli e il cane Pipino' è un racconto felice e affettuoso di un figlio che ha amato tanto un papà che non era difficile da amare. E questo al di là del suo stesso ruolo di padre portato avanti con tutte le legittime incertezze di un uomo nato libero.
   

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