MARZIA SABELLA-SERENA UCCELLO, "NOSTRO ONORE" (EINAUDI, pp. 208 - 18,00 euro)
In questi giorni in cui appassionano le gesta di Samantha Cristoforetti, tra gli scaffali delle librerie appare la storia molto più terrena ma a suo modo un po' "spaziale" di un magistrato, donna, tra i protagonisti della cattura di Binu Provenzano latitante da anni luce. Ma Marzia Sabella, magistrato per vent'anni alla Procura di Palermo oggi consulente della commissione antimafia, vuole raccontarlo con "normalità" e anche ironia, senza celebrazioni e senza voler ridurre i suoi tanti anni sul campo a quel pure eccezionale arresto.
E infatti le pagine del libro che ha scritto con Serena Uccello, giornalista del Sole 24 Ore che la Sicilia la tiene nel sangue, scorrono in un lampo e vent'anni di professione si dipanano davanti a chi legge con la forza e la normalità del quotidiano e con la spinta al dubbio, che è un metodo e pure un'urgenza di lavoro e di vita.
Si sa che le donne sono precise e nessuno manca nel racconto a partire dal marito che, quando riceve l'sms che annuncia la cattura di Binu con un semplice "PRESO", ribatte: "Ma siete sicuri che è lui?". E lo fa non perché ha dei dubbi sul lavoro della moglie, ma perché l'ha talmente ascoltata, caricata, consolata in 5 anni di forsennata caccia che riesce in pochi caratteri ad anticipare e condensare la tensione dei magistrati e delle forze dell'ordine che corrono tra i campi per andare ad accertarsi che quello che hanno stanato sia proprio finalmente il latitante di Corleone.
Non mancano i colleghi, nomi spesso famosi finiti come lei sui giornali tante volte per le loro battaglie da servitori dello Stato, ma qui riportati con il solo nome di battesimo. Magistrati che vivono "l'ontologica solitudine di scelte impopolari o dolorose e che assorbono, come spugne, le atrocità sociali senza pretendere che ciò venga definito coraggio".
C'è chi le consiglia il trucco di non guardare mai il morto in faccia per non farselo rimanere cucito all'anima. Trucco mai seguito, tanto che racconta: "Ho conosciuto molte storie e molte mi sembrano dimenticate, riposte per sempre negli scaffali dell'archivio della procura", ma ammette che all'improvviso ritornano e sottolinea: "comprendo che non c'è mai barriera, non c'è meccanismo di difesa che protegga".
Ci sono i ragazzi della scorta che sono sempre lì a proteggerla anche quando vorrebbe poter comprare un vestito o far la spesa in beata solitudine, ma che poi diventano parte della sua vita tanto da essere con commozione e onore a volte madrina dei loro figli, a volte celebrante dei loro matrimoni.
Tra le tante biografie che emergono dal libro, forse due rimangono dolorose come schegge sotto la pelle: quella di Pio Pio, bimbo di Ballarò vittima degli orchi, da cui la Sabella impara che "la condanna dei colpevoli paga il conto alla giustizia ma non appaga nessuno", e quella del vecchio maresciallo dei carabinieri che dopo tanti anni ancora ha "gli occhi umidi di un bambino" nel comunicare a due genitori che il loro figlio ventenne in una notte infame si è schiantato con la moto.
Ma c'è anche il signor Pino del bar davanti al tribunale che sa che - le poche volte che riesce a non mangiare in piedi fumando attaccata alla macchinetta del caffè in ufficio - le piacciono le verdure grigliate o le penne alla norma con la spolverata di ricotta. E gli odori e i sapori sono uno dei fil rouge di questo libro come immagini di normalità e assieme di straordinarietà dei fatti raccontati dalle tante indagini che hanno il sapore del panino alla cotoletta ingoiato di fretta e furia, giusto per non svenire dopo ore di interrogatori, all'odore di agnello e sugo di cui sa la caccia a Matteo Messina Denaro, l'ultimo padrino di Cosa Nostra.
Ci sono tanti modi per raccontare la giustizia, o meglio lo stato della giustizia oggi in Italia: la Sabella e la Uccello vogliono "restituire, a chi non la conosce, la storia ordinaria, e però straordinaria, di una somiglianza, di una vicinanza, di una relazione. Del magistrato con il popolo in nome del quale applica la legge... Perché l'onore, quello vero, è dato dalla "sacralità" del Codice e di chi, di quel Codice, difende le ragioni".
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