Il 23 marzo 2011 va all'asta a Parigi un volume stampato nel 1793, ''Philosophie sociale dédiée au peuple francois par un Citoyen de la Section de la republique francoise'' anonimo ma ormai ben attribuito a Junius Frey che, sulla controcopertina di questo esemplare ha scritto a mano il suo testamento umano e politico. Nato come Moses Dobrushka in Moravia nel 1753, ebreo convertito e battezzato a Vienna col nome di Franz Thomas von Schonfeld e finito ghigliottinato durante il terrore col suo nome giacobino, appunto Julius Frey, il 5 aprile 1974.
Gershom Scholem (1897-1982 e non '92 come nel risvolto di copertina!) pensatore, grande studioso della mistica ebraica, saggista e scrittore di origine tedesca e morto in Israele, parla di ''uomo prigioniero delle sue contraddizioni'', che solleva dubbi cui non c'è risposta, con la sua ''doppia carriera, pubblica e privata, celata, sorprendente e turbinosa di mose Dobrushka, alias Franz Thomas von Schonfeld, alias Juklius Frey, il cui cuore restò diviso attraverso tutte le sue metamorfosi, personaggio a cavallo tra due mondi, quello dell'occultismo e quello dei Lumi, tra la sua fedeltà alla Rivoluzione francese e il suo passato al servizio degli imperatori'' Basta questo per fra capire che ci troviamo davanti a una vita particolare e avventurosa di un personaggio passato dai ghetti e i villaggi moravi ai fasti e le luci della corte di Vienna, dalle salmodie cabalistiche alle preghiere pastorali, invischiato in traffico d'armi e poi legato a club giacobini non senza disdegnare le logge massoniche, sino a trovarsi costretto a salire i gradini del patibolo, dove porta con sè il mistero della propria esistenza inquieta: fu spia al soldo delle potenze reazionarie antifrancesi o un sincero rivoluzionario, un vero ebreo convertito (anche se nell'eccezione della fede e dei gruppi frankisti costretti a farlo per convenienza e con convinzioni personali) o un avventuriero pronto a indossare qualsiasi maschera gli fosse utile? Certo è che a leggere questo saggio biografico storico filosofico, pare Scholem si rifaccia a un romanzo d'appendice alla Dumas, tutto colpi di scena, complotti oscuri, grandi ricchezze, cadute e resurrezioni, sino al tragico finale, dopo che era stato sul punto di diventare il supremo capo dell'equivoca e strampalata corte di Offenbach, dove regnava Eva la figlia di Jacob Frank, ambiguo e scandaloso pseudo profeta creatore di conversioni cattoliche ma sotto le quali si nascondeva una sua religione esoterica, in cui lui era l'incarnazione del Dio nascosto. E Eva poteva vantarsi di aver goduto dei favori dell'imperatore Giuseppe II e dello Zar Alessandro I. Eppure la scrittura di Scholem, come ben sa chi la conosce, per i suoi lavori su Walter Benjamin, di cui fu amico, o gli studi cabbalistici e religiosi (tutti pubblicati da Adelphi) è più saggistica che narrativa, perchè l'interesse dello studioso va ben oltre il suo curioso e ambiguo personaggio, che diventa solo esemplare di una realtà, della parabola dell'ebraismo moderno alle soglie dell'emancipazione, tra storie mirabili e tragedie storiche, su cui Scholem si interroga a suo modo, più interessato alla metafisica che alla fisica. Non a caso il volume contiene anche una riflessione su messianesimo e vita di Jacob Frank e poi un bel saggio illuminante, specie per il lettore meno preparato, di Campanini ''Da Giacobbe ai Giacobini''.
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