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Elena Rausa, 'Marta nella corrente'

Elena Rausa, 'Marta nella corrente'

Sopravvivere al lutto aprendosi all'altro, storia di un incontro

MILANO, 24 ottobre 2014, 20:25

Gioia Giudici

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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 ELENA RAUSA, MARTA NELLA CORRENTE (NERI POZZA - 16,50 EURO, 271 PAG) Non è l'istinto di autoconservazione, ma la vulnerabilità a salvarci, permettendoci di aprirci all'altro e alla vita: se dovesse riassumere il suo libro d'esordio in poche parole, Elena Rausa lo racconterebbe così, ma 'Marta nella corrente' è soprattutto un insieme di storie, di belle storie al femminile.
    La storia di Marta, rimasta sola al mondo dopo la morte della madre Bruna, donna immatura persa dietro un uomo violento, si incrocia con quella di Emma Donati, la dottoressa che si prende cura di lei e in lei trova una somiglianza di atteggiamento tale da sfiorare l'identificazione e da indurla ad affrontare quelle ferite che credeva cicatrizzate da tempo.
    Inizialmente il presente di Marta, calato nell'anno della vittoria italiana ai Mondiali del 1982, si alterna con il passato di Emma, partigiana quasi per caso sulle montagne della valle d'Aosta e poi deportata in Germania insieme alla migliore amica e al primo amore, compagni di lotta negli anni della guerra. Ed è difficile riconoscere la dottoressa disponibile e altruista che cerca una chiave per aprire il silenzio in cui si è chiusa Marta nella giovane donna che affronta una storia più grande di lei. Questo perché Emma, per non occuparsi delle sue ferite, ha preferito curare quelle degli altri. Ma nell'incontro con Marta, nel riconoscersi nel suo ostinato silenzio, nel suo negare la morte della persona che più le era cara, si apre per Emma la possibilità di smettere di far finta che le sue ferite siano cicatrici. Il passato - mai raccontato neppure al marito - emerge così con forza: gli anni terribili nel campo di lavoro in Germania, superati grazie al lavoro di medico, ma segnati da un lutto terribile, la morte della migliore amica, simbolo di tutto l'orrore affrontato.
    "La vicenda che lega le due protagoniste è l'elaborazione della perdita e l'arduo compito di sopravvivere che - racconta Elena Rausa, quarantatreenne insegnante al liceo scientifico - tocca un po' tutti perché la distinzione tra sopravvissuti e salvati va oltre il campo, e la vicenda di Marta lo rappresenta bene: c'è qualcosa di innaturale nel sopravvivere a qualcuno che abbiamo amato, ci pone di fronte all'evidenza del limite e quando ne prendiamo atto è un momento di grande fatica ma molto fecondo". Se il senso di perdita ci porta a difenderci, Rausa nota però che "la vita come trasformazione è una perdita di sé costante in cui si apre la disponibilità alla novità". Per questo "l'istinto di autoconservazione, che porta a chiudersi nel silenzio, non funziona, è la vulnerabilità - riflette l'autrice - a renderci disponibili: le ferite sono feritoie che ci permettono di incontrare gli altri e ci danno la possibilità di essere profondamente veri, riconoscendo il dolore come parte della vita". Ed è proprio la possibilità di aprirsi a dare un senso alla vita, come raccontano le storie delle donne venute prima di Marta: la nonna Enza, malinconica e sottomessa al marito, e la madre Bruna, ribelle e immatura. E infine Marta, "che ha una chance straordinaria, perché la maternità non riguarda solo chi ti ha messo al mondo ma i punti di riferimento che puoi trovare", dalla dottoressa capace di rompere il muro del silenzio al nonno paziente che sa accettarlo.
   

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