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Gary Shteyngart, quand'ero Piccolo Fallimento

Scrittore ebreo russo si racconta e annuncia: "poi un thriller"


    (ANSA) - ROMA, 10 OTT - GARY SHTEYNGART, MI CHIAMAVANO PICCOLO FALLIMENTO (GUANDA, PP 388, EURO 18). Ironico, provocatorio, lo scrittore ebreo russo Gary Shteyngart, ha trasformato le contraddizioni e difficoltà che ha vissuto in creatività. E, a poco più di 40 anni, non ha avuto paura di spingersi al massimo nell'autobiografia come mostra bene il suo ultimo libro, 'Mi chiamavano Piccolo Fallimento', per poi prendere un'altra strada: "Quella del thriller per nulla ordinario sul mondo finanziario, con una donna molto attraente" annuncia all'ANSA lo scrittore.
    Pubblicato da Guanda, il romanzo è accompagnato da foto dello scrittore, dei genitori, dell'amata nonna, con divertenti immagini in cui Shteyngart appare in posa come il cantante di musica pop Billy Idol o mentre fa un viaggio a base di funghi psichedelici. "Quando i tuoi genitori ti dicono che sei un fallimento dentro di te resta una parte di tutto questo ma devi usarlo per creare qualcosa di interessante. La maggior parte degli scrittori non hanno un vissuto felice altrimenti non sarebbero diventati tali ma banchieri" dice Shteyngart che è nato a Leningrado nel 1972, si è trasferito negli Stati Uniti a 7 anni, vive a New York ed è stato segnalato dal 'New Yorker' come uno dei migliori scrittori americani under 40. Tradotto in 28 lingue e vincitore di numerosi premi, Shteyngart ha esordito nel 2002 con 'Il manuale del debuttante russo' cui sono seguiti 'Absurdistan' e 'Storia d'amore vera e supertriste'.
    "I primi tre romanzi che ho scritto - racconta - avevano caratteristiche molto autobiografiche e ad un certo punto ho pensato: 'perchè non metterci tutto su di me?". E così ha fatto in 'Mi chiamavano Piccolo Fallimento' dove troviamo il piccolo Igor Shteyngart, vero nome dello scrittore, trasformarsi in Gary quando arriva a New York , diventare fan adolescente di Ronald Reagan, venir preso in giro a scuola per il suo cappottone con il collo di pelliccia che gli fa guadagnare un altro titolo, quello di Fetido Orso Russo. Ma la lista non finisce qui: c'e' anche dopo Moccioso come lo chiamava il padre perchè gli colava sempre il naso.
    Romanzo di formazione di un bambino che passando dalla Russia all'America vive comunque una condizione di infelicità e si salva con la scrittura e l'autoironia, questo romanzo di Shteyngart si puo' far rientrare nella letteratura di immigrazione, ma subito lo scrittore chiarisce: "Odio i romanzi sull'immigrazione dove ci sono gli immigrati che arrivano in Usa, devono superare mille difficoltà e diventare migliori degli stessi americani per farcela. La cosa più interessante non è la battaglia tra loro e la società ma quella all'interno delle stesse famiglie di immigrati".
    "La distanza tra i giovani sovietici e i loro genitori - continua - è di 300 anni. Non è il salto di una generazione ma di dieci. In Unione Sovietica non c'era la psicologia. L'unica forma di psichiatria era mandare qualcuno in prigione. Quando in Usa ho detto a mio padre che stavo andando da uno psicologo mi ha detto che avrebbe preferito fossi gay".
    Anche l'ironia, caratteristica principe dello scrittore, non è semplice da gestire. "Bisogna stare attenti perchè troppa ironia distrugge qualsiasi forma di sentimentalismo e senza ironia il troppo sentimentalismo sconfina nel sogno. Bisogna trovare una via di mezzo tra ironia e serietà" spiega Shteyngart. Ovviamente anche nel thriller che sta scrivendo, ambientato in dodici città in giro per il mondo, non mancherà una buona dose di satira. "Come si fa a parlare di finanza senza ironia? Ci sarà molta satira su tutto il genere thriller. E' come se Woody Allen, che mi piace molto, facesse un thriller. I suoi film sono eccezionali, si sviluppano personaggi confusi" dice Shteyngart e aggiunge con una battuta: "Woody Allen va dallo psicanalista cinque volte a settimana, io quattro. Sono più sano".
    Insomma, per quanto sia possibile, 'Mi chiamavano Piccolo Fallimento' è "un'addio al genere autobiografico. Ho scritto complessivamente almeno 1.500 pagine su di me, sono soddisfatto.
    Nel prossimo libro non ci sarà più un russo ebreo che abita a New York.
   

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