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Rete padrona, il volto oscuro del web

Rete padrona, il volto oscuro del web

Gli abusi di Apple, Google, Facebook & co. nel saggio di Rampini

ROMA, 03 ottobre 2014, 11:16

Michele Cassano

ANSACheck

La copertina di Rete padrona di Federico Rampini - RIPRODUZIONE RISERVATA

La copertina di Rete padrona di Federico Rampini - RIPRODUZIONE RISERVATA
La copertina di Rete padrona di Federico Rampini - RIPRODUZIONE RISERVATA

 FEDERICO RAMPINI, RETE PADRONA (pp 278, euro 18 ). C'era una volta la San Francisco del Golden Gate Bridge, simbolo della rinascita dell'America di Roosevelt. Ora c'è la San Francisco delle proteste contro i torpedoni che trasportano i dipendenti di Google, Apple, Facebook, visti come "maiali d'allevamento ben pasciuti" che ingrassano mentre "il resto della città sta raschiando il fondo per sopravvivere". La patria della Silicon Valley, di quella tribù di hacker delle origini, che aveva sognato il web come una prateria aperta, oggi trasmette inquietudine e disillusione.
   

I giganti del web nacquero tutti come realtà rivoluzionarie che volevano dotare le masse di un'infrastruttura collettiva per fare breccia contro il sistema. Alla fine sono diventate protagoniste del capitalismo più sfrenato, che invece di combattere le diseguaglianze, le ha accresciute. Federico Rampini svela la faccia meno nota del mondo che ruota attorno a Internet, la cui pericolosità, nonostante gli ultimi scandali, è ancora sottovalutata da tanta parte degli utenti della rete. Le intercettazioni, il conflitto tra libertà e privacy, il diritto all'oblio, la difesa della net neutrality: il giornalista descrive i nodi del prossimo futuro, anche quelli più ostici da comprendere, in maniera accessibile a tutti. Fa capire, ad esempio, perché la pretesa delle telecom di far pagare un pedaggio ai grandi fornitori di contenuti, come iTunes, YouTube o Netflix, nasconda insidie per tutti. O ancora, si immerge nelle sinergie perverse tra i Nuovi Padroni dell'Universo, con base nella Silicon Valley, e i Vecchi Padroni dell'Universo, con base a Wall Street. Svelando, tra l'altro, tutta l'ipocrisia che sta dietro alla filantropia dei grandi capitalisti.
   

Sfruttamento di minori, evasione fiscale, patti segreti per eludere la concorrenza: i guru della rete, spesso venerati come star, si sono macchiati dei peggiori peccati. Non solo: nella violazione della privacy, che ha raggiunto il suo apice mediatico nello scandalo del Datagate, sono stati complici dei governi, sempre in prima linea nel carpire informazioni per accrescere i propri affari. Caso emblematico è quello di Steve Jobs: il fondatore di Apple, idolo delle masse, dopo le rivelazioni sulle fabbriche cinesi dove nascono gli iPhone, sulle trame monopolistiche, perfino sugli aspetti ignobili della sua vita privata, è oggi un arcangelo decaduto.
   

Anche i fondatori di Google, Larry Page e Sergey Brin, erano partiti dalla stessa filosofia: "don't be evil", non essere cattivo, e avevano ripudiato la pubblicità. Fino alla netta inversione di tendenza. Ora big G è il regno delle inserzioni e controlla tutte le nostre mosse, a partire da Gmail, a caccia di parole chiave che servono a vendere pubblicità. Una storia non dissimile da quella di Facebook. Il suo fondatore Mark Zuckerberg, dopo il Datagate, telefona a Obama per lamentarsi per l'ingerenza del governo statunitense, nonostante la sua azienda abbia un comportamento molto simile. Sullo sfondo c'è il consumatore, ormai schiavo delle mail o dei social network, che accanto agli indubbi vantaggi nascondono insidie per la vita privata e il mondo del lavoro. Rampini non vuole iscriversi tra i disfattisti o tra i delusi dalla rete, ma tenta di tracciare un'analisi obiettiva di quanto accaduto nell'ultimo decennio, citando gli studi più recenti in materia.
    Come quello di Danah Boyd, ad esempio, che ha impiegato otto anni della sua vita per immergersi nella vita segreta degli adolescenti nel mondo dei social network, per scoprire che i teenager sono tutt'altro che disinteressati alla loro privacy.
   

 Eppure inconsapevoli, solo per dirne una, del fatto che gli spostamenti dei proprietari degli iPhone vengono registrati minuto per minuto, senza che ci sia la possibilità di dare un consenso a questa operazione. Ci sono però esempi positivi come quello della Telsa, azienda costruttrice di macchine elettriche, che ha deciso di rendere disponibili a tutti i suoi brevetti, avvicinandosi allo spirito delle origini della Silicon Valley. Oppure quello della cittadina di Rochester sul lago Ontario, dove la maggioranza della popolazione lavorava per la Kodak. Al fallimento dell'azienda leader della fotografia predigitale, la città non è crollata. Anzi, grazie al modello universitario avanzato e alla scelta della stessa Kodak di favorire gli spin-out, cioè l'uscita dei suoi ricercatori finalizzata alla creazione di nuove aziende, ora c'è un'economia prospera, basata proprio su una miriade di start up. Un esempio per tutti, ma - precisa Rampini - soprattutto per l'Italia del capitalismo dinastico.
   

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