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Il canotto insanguinato

Il Commissario De Vincenzi nel noir antifascista all'italiana

(di Marzia Apice) (ANSA) - ROMA, 19 SET - AUGUSTO DE ANGELIS, ''IL CANOTTO INSANGUINATO'' (SELLERIO, PP.368, 14 EURO). Un uomo che non dà nell'occhio. Un po' grigio, malinconico, molto cerebrale, di certo quello che oggi si chiamerebbe un antieroe. Eppure, è proprio lui uno dei più interessanti caratteri che la letteratura del noir all'italiana ci ha offerto. Stiamo parlando del Commissario De Vincenzi, nato dall'ottima penna di Augusto De Angelis (1888-1944), scrittore purtroppo poco noto nonostante sia il fautore del romanzo giallo nel nostro paese e che Sellerio ha avuto il merito di ''rispolverare'' con la riedizione di alcuni suoi lavori. Ultimo titolo proposto in catalogo dalla casa editrice palermitana è 'Il canotto insanguinato', una storia che, sebbene scritta da De Angelis nel 1936, mostra intatta la propria attualità, grazie ai suoi fini meccanismi di mistero e tensione. Tra giocatori d'azzardo, donne enigmatiche, loschi personaggi e milionari d'Oriente, l'indagine parte da un canotto pieno di sangue, una borsetta con un fermaglio di rubini e un impermeabile rosso. Forse un delitto, forse no: in ogni caso un bel rompicapo per il protagonista del libro, il fine investigatore De Vincenzi, appassionato lettore di Stendhal e Freud che dovrà fare i conti dapprima con l'assenza del cadavere, e poi con una serie di morti ammazzati.
    L'indagine per trovare il bandolo della matassa lo porterà lontano dalla sua Milano: prima Sanremo, poi Nizza, Strasburgo e la Germania. Fino a quando, dopo interrogatori, indizi e depistaggi, come in un puzzle ogni pezzo andrà al suo posto. Equilibrato, avvincente, realistico, 'Il canotto insanguinato' mostra non solo l'abilità letteraria di De Angelis, ma anche il coraggio di ribellarsi al cancro della sua epoca, il Fascismo. Era lo stile il suo modo di dire no al regime: la mancanza di superomismo, arroganza e violenza nel personaggio di De Vincenzi testimoniava la ferma volontà dell'autore di trattare con indifferenza la protervia del Fascismo. Come se si potesse ignorarlo e rifugiarsi in un altro mondo grazie alla letteratura, mettendo al centro di tutto l'analisi dell'uomo. Purtroppo pagò sulla propria pelle questo atteggiamento: incarcerato per antifascismo nel 1943, morì, una volta libero, in seguito a un brutale pestaggio. Sfortunato sì, ma destinato a lasciare il suo segno nella storia del giallo, De Angelis ha avuto il merito di aver fatto entrare il lettore dalla porta principale, eleggendolo a osservatore privilegiato di ogni contesto narrato. Nel suo essere direttamente ''dentro'' il racconto, chi legge ha in questo modo quasi l'autorizzazione dell'autore a divenire parte della storia stessa, come se potesse dare il proprio un aiuto nella risoluzione del mistero. Esattamente come il mitico De Vincenzi, un detective sobrio e dal basso profilo che caparbiamente conduce ogni inchiesta ''a quel suo modo che gli era abituale. Vivendo l'ambiente nel quale avevano vissuto e vivevano le persone del dramma''.
   

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