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Cannavacciuolo, 'punto sulle persone'

Cannavacciuolo, 'punto sulle persone'

Su FoxLife Cucine da incubo 3, stesso format ma più emozioni

ROMA, 25 maggio 2015, 13:14

Marzia Apice

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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Non basta saper cucinare bene: per far funzionare un ristorante ci vuole molto di più. Lo sa bene Antonino Cannavacciuolo, chef napoletano pluristellato, che sta per ripartire con la terza edizione di Cucine da incubo, in onda dal 26 maggio, ogni martedì alle 21.00 su FoxLife (Sky, canale 114).

Ancora una volta il patron del ristorante Villa Crespi (sul lago d'Orta) impedirà a tanti locali di cadere nel baratro del fallimento. E lo farà a suo modo, "spingendo sulla motivazione del gruppo e sul senso di rivincita", dice in un'intervista all'ANSA. "La prima cosa che conta in un ristorante è lo staff: sono le persone che portano l'energia positiva", spiega, "poi bisogna comunicare bene con il cliente: certo, serve cucinare bene perché in un ristorante c'è chi segna e chi difende, ma la sala è la punta di diamante di un locale".

Come ormai sanno gli affezionati di Cucine da incubo, di puntata in puntata, lo chef dispenserà consigli non solo tra i fornelli, ma sulla gestione, il menu e l'arredamento. E se la struttura del format prodotto da Endemol Italia è rimasta sostanzialmente invariata, in questa edizione Cannavacciuolo si troverà a dover risolvere i problemi di realtà più complesse di una cucina a gestione familiare: per questo saranno organizzate più "esterne" fuori dai locali, per mettere i ristoratori alla prova. Ma soprattutto si dovranno affrontare difficoltà diverse, più vicine al cuore che al modo di cucinare. Come accade nella terza puntata, dedicata allo storico ristorante A' Lanterna, aperto nel 1979, una delle strutture della Comunità di San Benedetto al porto fondata da Don Andrea Gallo a Genova.

"L'emozione si tagliava con il coltello: Don Gallo era lì, io ho sentito la sua presenza", racconta, "ho trovato un gruppo con le batterie scariche: con delicatezza ho cercato di far capire che ognuno doveva far uscire fuori il proprio carattere, e non vivere solo nel ricordo di Don Gallo". Quel luogo per lo chef ha rappresentato "un'esperienza di vita": grazie all'incontro con il cuoco Roberto, "ho imparato - continua - che non bisogna mai puntare il dito: lui è cresciuto senza famiglia, ha sbagliato e la vita non lo ha perdonato, fino a quando non è stato accolto nella comunità".

Star televisiva suo malgrado ("sono riservato, non mi piace apparire e faccio una vita normale", dice), è profondamente convinto che il suo successo sia dovuto alla capacità di abbinare le parole ai fatti: "Io rimprovero le persone e dico come vanno fatte le cose ma poi faccio i fatti", spiega, "al pubblico piace vedere la delicatezza e la raffinatezza dei piatti, come mi muovo in cucina".

Ma le pacche sulle spalle, il celebre "addios!" detto dopo aver concluso ogni missione, o il carattere del "burbero dal cuore tenero" non sono altri ingredienti che fanno salire il gradimento dei telespettatori? "Queste cose piacciono, come il fatto che dicono che io assomigli a Bud Spencer", scherza, "ma conta soprattutto la squadra dietro di me nel programma, che ha sempre il sorriso sulle labbra".

Un atteggiamento di apertura verso l'altro che lo chef segue nella vita di tutti i giorni e che si riflette nei suoi pensieri: con una cucina onnipresente, servita "in tutte le salse" nei palinsesti tv, se c'è stato "un miglioramento medio nella ristorazione italiana, lo si deve solo alla gente. E' sempre il cliente che fa il ristorante", spiega, "così è accaduto anche a me: se non avessi avuto i clienti giusti non sarei riuscito a migliorare".

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