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Dapporto, il mio Borghese piccolo piccolo

40 anni dopo Sordi-Monicelli, debutto a teatro per libro Cerami

"Quando ho rivisto il film, con quel gigantesco Alberto Sordi, mi sono detto: e chi ce la fa? Poi ho letto il libro e ho capito che era possibile scostarsi da quel ricordo e avvicinarsi di più a Giovanni Vivaldi". Impermeabile, cravatta a righe e basette lunghe, così Massimo Dapporto porta in scena 'Un borghese piccolo piccolo', prima trasposizione teatrale del romanzo scritto da Vicenzo Cerami nel '76, diventata film epocale l'anno seguente con Sordi, appunto, e la regia di Mario Monicelli.

Dopo un primo passaggio al Festival di Borgio Verezzi, lo spettacolo, nell'adattamento e regia di Fabrizio Coniglio e con le musiche originali di Nicola Piovani, arriva in anteprima al Teatro Tor Bella Monaca, alla periferia romana, dal 13 al 15 ottobre, per debuttare ufficialmente il 17 all'Eliseo, dove rimarrà fino al 5 novembre, e proseguire poi in tournée (nel cast anche Susanna Marcomeni, Roberto D'Alessandro, Matteo Francomano e Federico Rubino). Al centro, l'odissea personale di Vivaldi, impiegato alla soglia della pensione, il cui più grande desiderio è quello di 'sistemare' il figlio Mario proprio in quel ministero in cui lavora da oltre trent'anni. Ma come ottenere una raccomandazione per il figlio?

Ecco l'inizio della disperata ricerca di una 'scorciatoia', che lo porterà fino alla Massoneria, trasformandolo in carnefice quando suo figlio resterà ucciso in una rapina. Al tempo, con quell'interpretazione di Sordi, si disse che finiva l'era scanzonata della commedia all'italiana. Oggi, più di 40 anni dopo, dice Dapporto all'ANSA, "non sembra che le cose siano molto cambiate. Il libro racconta un Vivaldi ancora più 'feroce' del film, con una volgarità d'animo che dà segni di una potenzialità d'assassino. Ma la storia fa molta presa sul pubblico, perché racconta elementi che sono parte del Dna italiano. Il problema della giustizia 'fai da te' attanaglia oggi come allora. Basta aprire un giornale che leggi e Stato appaiono impotenti, incapaci di accontentare chi è colpito da una disgrazia. Anche la raccomandazione è un tratto tipicamente italiano - prosegue Dapporto -: Vivaldi pensa sia giusta una staffetta con il figlio, a dispetto di chi magari ha più meriti e non riesce ad andare avanti. Uomini come lui si incontrano per strada, nelle aule di tribunale, nella politica. Rappresenta la grettezza dell'animo umano. Non è una questione di borghesia. Quando perdi la dignità, perdi anche la tua identità e diventi un omuncolo agli occhi degli altri. Se oggi scavi nell'animo delle persone, trovi molta confusione, il sospetto perenne che qualcuno sia pronto a fregarti. E allora si cerca di anticiparlo". A far da scenario nel libro come a teatro, una Roma anni '70, "che ricordo bene - sorride Dapporto -. Per essere al passo con mia moglie comprai pantaloni a zampa d'elefante e quelle scarpe con tacchi alti che andavano al tempo. Rimediai due storte pazzesche a via del Corso".

Ma al di là delle mode, "la città è rimasta la stessa: buche, traffico, litigi per un parcheggio, immondizia. E poi la grande volgarità del potere, il clientelismo, la delinquenza. E' solo tutto apparentemente più raffinato. A volte capisco perché la gente un po' alla volta si chiude in casa e non esce più. Arrivi la sera che ti senti un sopravvissuto". Per questo debutto, sarà tre giorni in periferia, a Tor Bella Monaca, "dove - dice - credo ci sarà molta partecipazione alla storia di Vivaldi". Quanto al destino di Roma, conclude, "finché non ci sarà un gruppo che veramente si sa muovere, la storia continuerà a ripetersi. Servono anche i sodi e uno staff con gli attributi intorno al sindaco. Io cerco di votare sempre le cose nuove, ma su Roma sono rimasto molto deluso".

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