Il Riccetto, Agnolo, il Begalone,
Alvaro, il Caciotta e così via sono i 'Ragazzi di vita' di Pier
Paolo Pasolini, che parlano quella "mimesi linguistica da lui
creata sul romanesco per aderire a quella realtà", come ha detto
Dacia Maraini, ricordando che rappresentano il mondo ormai
scomparso delle borgate, giovani di un sottoproletariato che
però sta tornando, con l'ampliarsi della forbice tra ricchi e
poveri. Lo spettacolo che dal romanzo del 1955 ha costruito
Massimo Popolizio e che debutta il 26 ottobre al Teatro
Argentina di Roma, con la drammaturgia di Emanuele Trevi e con
Lino Guanciale e altri 18 attori, ci dimostra così che quei
ragazzi ci parlano ancora oggi in modo diretto e vivo.
"Agli altri attori ho sempre detto di pensare che quel che
dicevano fosse scritto in versi, per scoprirne la scansione
intima, il ritmo che corrisponde a uno spartito emotivo basato
sulla lingua, che va adattata alle figure degli interpreti (non
i personaggi), perché l'attore è innanzitutto corpo" spiega
Popolizio.
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