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Achille Lauro, con '1969' voglio parlare a tutti

Rock e vuoti interiori per un nuovo corso dopo la 'gogna' di Sanremo

Di essere visto come uno che fa trap non ne può più: in Achille Lauro "c'è la voglia di parlare a tutti, di rimanere". Un primo assaggio del suo cambiamento - polemiche a parte, legate a chi ha voluto leggere in 'Rolls Royce' un inno alla droga - lo ha dato a Sanremo, ora il piatto forte: le 10 canzoni di '1969', disco che esce il 12 aprile, con riferimenti espliciti fin dalla copertina, con le icone James Dean, Elvis Presley, Marilyn Monroe e Jimi Hendrix a incorniciare il tatuatissimo volto dell'artista romano. "Gli anni 60 e 70 sono stati l'epoca più importante a livello creativo, c'era voglia - racconta il 28enne Lauro - di cambiamento e di libertà ed è quello che stiamo inseguendo e per questo abbiamo messo in copertina quattro icone: James Dean come simbolo della gioventù sregolata, Marilyn Monroe perché è citata anche in Rolls Royce con la frase "preferisco piangere sui sedili di una Rolls Royce che in quelli di una metro", Jimi Hendrix come rappresentante dell'immaginario hippie e libertino, Elvis che ha contaminato la mia musica con un certo modo sguaiato di cantare".

Un disco rock'n'roll, dunque, inteso come "lifestyle: questo genere - spiega l'artista, completo bianco, stivali glitterati e camicia con fiocco aperta sul petto - mi piace, è una fusion di altre cose: punk, hip hip, rock. Quando ho iniziato a comporre Roll's Royce ho detto che doveva essere un pezzo generazionale. Doveva parlare a tutti". Per farlo è stato necessario evolvere anche perché "nessun pittore dipingerebbe lo stesso quadro due volte" ma rimanendo comunque se stessi: "mantengo la mia anima - garantisce - andando a spasso tra i generi". Ed ecco che in questo disco tornano quei "vuoti interiori" che fanno parte di lui, ma esplorati in modo diverso rispetto al passato: "c'è più una malinconia personale che un disagio per il fatto di venire da una certa zona". Ma non c'è solo disperazione nelle 10 tracce di '1969': "ci sono leggerezza e malinconia. Ma è quello che siamo tutti, ci sono alti e bassi e io ho cercato di fissare questi momenti con la musica". All'immagine dell'artista ispirato, Achille Lauro preferisce quella del musicista impegnato nella costruzione della sua carriera: "non sono un sognatore, ma un operaio del mio successo. L'ho costruito ora per ora, senza dormire per sette anni. Le persone crescono: questo è il momento delle responsabilità. Credo che l'artista abbia una responsabilità, ma l'arte è arte. Sento una responsabilità verso chi lavora a questo progetto. Se casco io, cascano in tanti, compresa la mia famiglia".

Certo, "gli artisti hanno la responsabilità di ciò che fanno e dicono ma non possono essere presi come capro espiatorio, sennò si torna alla censura". Per chiarire il suo pensiero, Lauro fa un paragone efficace: "se Sfera scrive 'mi faccio una canna' rientra nella sfera della libertà, non è che chi ascoltava i Beatles si faceva di Lsd". E soprattutto, è il suo pensiero, certi discorsi andrebbero affrontati in altro modo: con le polemiche intorno alla sua Rolls Royce, "si è parlato di droga con superficialità, quando il problema è reale e va affrontato a livello educativo, andando a parlarne nelle scuole". Se avesse voluto parlare di droghe - è il messaggio - lo avrebbe fatto e basta: "Quando ho voluto essere esplicito l'ho sempre fatto, se mi fosse stato chiesto avrei risposto". Dispiaciuto per la "gogna mediatica", Lauro ha portato comunque a casa dal festival ciò che cercava: "ho capito che l'idea di un brano con cui comunicare a tutti non era un miraggio, ma reale". "Voglio abbracciare tante generazioni - conclude - così come è riuscito a fare Vasco". Inizierà a farlo da domani con l'Instore tour e poi a ottobre con il tour.

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