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Pandemie e day after: da Leopardi a Levi e Shiel

Mancato rispetto della natura porta alla fine del genere umano

ROMA - Se una cosa ci ricorda questa pandemia è che la natura è sempre più forte, più resistente dell'uomo. Non per nulla molti scrittori (e poi drammaturghi, registi di film e artisti diversi) da sempre hanno raccontato e creato storie esemplari, tra cronaca e metafora, su pestilenze, epidemie e altri cataclismi che cancellano o quasi il genere umano dalla Terra e ne mettono a nudo la sua vera natura. Allora questi romanzi, queste cronache di day after, queste supposizioni di arrivo al limite e di salvezza in extremis, con cui viviamo una qualche consonanza, possono essere qualcosa che ci aiuta a capire e riflettere su quel che ci sta accadendo in questo 2020, magari a metabolizzarlo in qualche modo, così da ripartire, come si dice ora, sapendo almeno un poco di più chi siamo.

''Qui si mira e qui ti specchia / secol superbo e sciocco'', cantava Leopardi nella ''Ginestra'' ammonendo dal credersi superiori alla natura, osservando ''l'arida schiena / del formidabil monte / sterminator Vesevo'' dove fiorisce la ginestra, che un giorno dovrà anch'essa chinare il capo al ritorno della lava. E si legga su questo la nota di Giulia Corsalini in una recente edizione per questi tempi di quei versi (Ed. dell'Asino). E' l'indifferenza della natura, che prosegue sempre il suo corso nel bene e nel male, facendo nascere facendo morire. Allora ecco scrittori che mettono in guardia per invitare ad averne più rispetto come Primo Levi con i racconti di ''Vizio di forma'', ovvero quella sfasatura in cui è possibile cogliere l'annuncio di qualche cataclisma. In questo senso il più esemplare è ''Ottima è l'acqua'', col chimico Boero (anche Levi era un chimico) che si accorge in laboratorio come stia aumentando la viscosità dell'acqua distillata. Poi, durante una passeggiata, si trova a verificare come ciò stia accadendo anche alle acque del Sangone, affluente del Po, e quanto pure quest'ultimo si stia modificando nella sostanza e poi, come in una pandemia, lo stesso accade a tutti corsi d'acqua in Italia e in Europa e poi del mondo. Le conseguenze sono devastanti, le piante faticano a nutrirsi di un liquido che è come si coagulasse e muoiono, i campi rimangono impaludati, i macchinari e i motori si inceppano. ''Parve all'inizio che il mondo animale offrisse una barriera di difesa contro l'ingresso dell'acqua viscosa nell'organismo umano, ma la speranza ebbe breve durata'': anche l'uomo ne comincia a soffrire con un addensarsi del sangue dalle conseguenze letali. Non a caso Levi dichiara che la sua fonte di ispirazione è stato il celebre saggio di Roberto Vacca ''Medioevo prossimo venturo''. E interessante, perché ci ricorda da vicino certe recenti discussioni sul lockdown, è anche il racconto ''Protezione'', in cui una legge obbliga le persone a indossare protezioni contro pericoli che arrivano dallo spazio e quattro amici discutono di possibili altre cause, di natura economica e politica, per cui tale legge è stata votata, e degli effetti che ha avuto sulla società.

Non meno chiaro nella sua raffinatezza letteraria il romanzo del 1901 ''La nube purpurea'' di Matthew P. Shiel (Adelphi) che egualmente racconta una sorta di devastante apocalisse, conseguenza dell'arroganza dell'uomo che viola la natura là dove essa è più assoluta. Dopo che una spedizione è riuscita da arrivare nientemeno che al Polo Nord si spande sulla terra una nube cianogena rossastra dal letale profumo di pesco che rende il mondo ''un macabro campo di battaglia di marionette cadute'', rimaste immobili nel gesto in cui sono state colte dai venefici arabeschi seducenti e insinuanti della nube che è arrivata dall'oriente. Per questo Londra, ultima città a essere raggiunta, è piena di corpi avvolti in scialli, sciarpe e mantelli colorati di coloro che dall'est hanno cominciato a fuggire verso ovest nella speranza di salvarsi: folla ''di spahi e basi-bazuk, di greci e di catalani, di popi russi e di abuna copti, di dragomanni e di calmucchi, di mullà afgani e egiziani, di napoletani e di sceicchi''. A raccontarci tutto è l'esploratore polare che al ritorno scopre di essere l'unico sopravvissuto, Adam (nome non casuale) Jeffson, e che gira il globo guidando tutti i mezzi che trova. Ci riferisce quel che vede a Costantinopoli come a Calcutta o San Francisco, e ovunque appicca incendi purificatori uno dopo l'altro in una sorta di giro del mondo per tornare a Londra. Questo, finché Adam non incontra una sopravvissuta come lui, una Eva con cui si accoppierà nella cabina di uno yacht a Portsmouth per dare un nuovo inizio al genere umano: ''Diverranno mangiatori di frutta, immagino, quando la carne che c'è ancora in giro sarà finita; ma non è detto che la carne faccia bene all'uomo'', è l'indicativo finale. (ANSA).
   

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