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Houellebecq, nulla sarà come prima? Non credo

Lo scrittore francese: 'Mondo sarà lo stesso, ma un po' peggio'

"Non credo alle dichiarazioni del tipo 'nulla sarà mai più come prima'": lo scrive, esprimendosi per la prima volta dopo l'inizio della pandemia, lo scrittore francese Michel Houellebecq, in una lettera pubblicata e letta questa mattina ai microfoni della radio France Inter.
    Per Houellebecq, "dire cose interessanti non è facile, perché questa epidemia è riuscita nell'impresa di essere al tempo stesso angosciante e noiosa. Un virus banale, accostato in modo poco brillante ad oscuri virus influenzali, dalle condizioni di resistenza poco note, dalle caratteristiche confuse, benigno e mortale al tempo stesso, neppure trasmissibile sessualmente: insomma, un virus senza qualità. Quest'epidemia avrebbe anche potuto fare qualche migliaio di morti al giorno nel mondo, ma avrebbe prodotto l'impressione di un non-avvenimento".
    Houellebecq passa poi a spiegare uno degli aspetti che alcuni suoi colleghi che hanno commentato l'epidemia "dimenticano di considerare: uno scrittore ha bisogno di camminare": "provare a scrivere se non si ha la possibilità, durante la giornata, di abbandonarsi a diverse ore di marcia a un ritmo sostenuto, è da sconsigliare fortemente: la tensione nervosa accumulata non riesce a dissolversi, i pensieri e le immagini continuano a girare dolorosamente nella povera testa dell'autore, che diventa in breve irritabile, o impazzisce". Per l'autore de "Le particelle elementari", non è vero che nulla sarà come prima, "al contrario, tutto resterà esattamente uguale. Lo svolgimento di questa epidemia è chiaramente normale. L'Occidente non è in eterno, per diritto divino, la zona più ricca e più sviluppata del mondo; tutto questo è finito già da qualche tempo, non è uno scoop. Se si esamina nei particolari, la Francia se la cava un po' meglio della Spagna e l'Italia, ma meno della Germania; anche qui, niente grosse sorprese. Il coronavirus, al contrario, dovrebbe avere come principale risultato l'accelerazione di alcune mutazioni in corso. Da diversi anni, l'insieme delle evoluzioni tecnologiche, che siano minori o di primo piano, (telelavoro, social network, acquisti su Internet), hanno avuto come conseguenza principale (o obiettivo?) la diminuzione dei contatti materiali, e soprattutto umani. L'epidemia di coronavirus offre una magnifica ragion d'essere a questa pesante tendenza: una certa obsolescenza che sembra colpire le relazioni umane".
    Fra gli altri aspetti analizzati dallo scrittore, il senso del "tragico, la morte, la conclusione", che rappresentano però "una tendenza ormai da mezzo secolo"; e "l'importanza assunta in queste settimane dall'età dei malati. Fino a quando conviene rianimarli e curarli? 70, 75, 80 anni? Dipende, a quanto sembra, dalla regione del mondo in cui si vive; mai, in ogni caso, era stato espresso con tanta assenza di pudore il fatto che la vita di tutti non ha lo stesso valore; che a partire da una certa età (70, 75, 80 anni?), è un po' come se si fosse già morti".
    "Queste tendenze - conclude Houellebecq - l'ho detto, esistevano già prima del coronavirus; si sono soltanto manifestate con una nuova evidenza. Non ci risveglieremo, dopo il lockdown, in un nuovo mondo; sarà lo steso, ma un po' peggio".

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