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Palermo vista da Dumas, molti vizi e poche virtù

Libri

Palermo vista da Dumas, molti vizi e poche virtù

Esce in Italia l'inedito "Il Conte di Mazara"

PALERMO, 03 marzo 2021, 14:12

Redazione ANSA

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TEATRO POLITEAMA A PALERMO - RIPRODUZIONE RISERVATA

TEATRO POLITEAMA A PALERMO - RIPRODUZIONE RISERVATA
TEATRO POLITEAMA A PALERMO - RIPRODUZIONE RISERVATA

ALEXANDRE DUMAS, "IL CONTE DI MAZARA. UNA STORIA SICILIANA" (il Palindromo, pp. 239, 13 euro.
    Traduzione dal francese di Viviana Carpifave, introduzione di Salvatore Ferlita) - Per dare un'idea del comportamento dei neutrini, alcuni anni fa uno scienziato portoghese descrisse quel mondo a parte che il traffico palermitano e lo sfrecciare dei motorini. A metà Ottocento non c'erano le auto e gli scooter e i neutrini vivevano in anonimato, ma il caos delle carrozze nel parco della Favorita, descritto da Alexandre Dumas nel suo "Il Conte di Mazara", testimonia che l'evoluzione dei costumi non ha fatto grandi passi avanti. Palermo, allora come ora, è una "grande culla di rumori". Non resta da sperare che almeno su altri piani qualcosa sia mutato rispetto alla descrizione che lo scrittore francese fa, per esempio, della famiglia: "Non è altro che l'uomo scortese, geloso ed egoista, che trascina la moglie come una schiava ed è seguito dai figli che considera un irreparabile inconveniente".
    Rimasto sepolto per un secolo e mezzo (uscì a puntate su "Le Mosquetaire"), Il Conte di Mazara, pubblicato in Francia nel 2019 e ora in Italia da il Palindromo, è una fotografia impietosa di una città che crede a tutto, tranne che a se stessa. Ci sarebbe da piangere, ma per fortuna c'è anche da ridere. Il libro è una delizia e ha una genesi che è un romanzo nel romanzo: Dumas, per una serie di fortuite circostanze, licenzia un testo che è frutto del lavoro di tre persone, autore compreso. Protagonista è un visconte francese, Alphonse de Quinzac, ospite a Palermo del Conte di Mazara, uomo ricco, generoso, colto e raffinato (praticamente un alieno), al quale viene data dall'intera città la patente di jettatore. E' lui il colpevole di tutto: "Della pioggia, del sole, del gracidio delle rane, dell'invasione delle mosche, dell'eruzione dell'Etna, del raffreddore dell'arcivescovo…". E via elencando.
    L'aristocratico d'Oltralpe, immerso nei fasti del palazzo e non del tutto padrone della lingua, ci mette un po' a capire il significato della parola jettatore, e ancor più a interpretare il vuoto che si crea attorno al Conte quelle rare volte che egli esce da casa o va al teatro. Agli occhi del popolo si salva, si fa per dire, la contessina di Mazara, la cui vita è segnata dalla nomea del padre.
    Dumas mostra di conoscere Palermo ben oltre la zucca candita, che nel 1860, durante una trasferta da cronista per seguire l'impresa dei Mille, gli fu offerta da Garibaldi in quantità tali da ingolfare la cambusa della sua goletta. Della città conosce i vizi profondi, così radicati da sfidare il tempo, ma anche le virtù, paradossalmente generate da quegli stessi vizi generano. Il sottotitolo del libro sembra un avvertimento al lettore: non è una storia inverosimile, è piuttosto "Una storia siciliana".
   

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