L'assegnazione del Premio
giornalistico "Andrea Barbato" allo scrittore e giornalista
turco dissidente Ahmet Altan, che ha chiuso la prima giornata di
Passaggi Festival della saggistica, in corso a Fano fino al 25
giugno, è stata l'occasione per parlare di quegli Stati del
mondo, come la Turchia, dove i diritti e la libertà di opinione
sono calpestati. La deformazione della realtà e della notizia è
stato invece il tema affrontato in apertura di serata dal
corrispondente Rai dagli Usa Antonio Di Bella. Della situazione
in Turchia hanno parlato Marino Sinibaldi e Nando Dalla Chiesa
con Yasemin Congar, direttrice P24 e Casa della letteratura di
Istambul venuta a ritirare il premio dalla mani dell'attrice
Ivana Monti , vedova di Barbato in sostituzione di Ahmet Altan,
che è privo di passaporto dopo essere uscito di recente dalle
carceri turche. "Un festival come questo - ha detto Dalla Chiesa
- non può non occuparsi di queste cose. I diritti calpestati
dell'umanità non possono essere considerati provvisori. Cosa
fanno le patrie del diritto, Regno Unito, Francia, Italia?
Perché il disfacimento degli imperi ha generato di fatto piccoli
imperi geopolitici che dettano le loro condizioni". Yasemin
Congar ha ricordato che la Turchia "è stato sempre un Paese che
è stato lì lì per diventare democratico", che Ahmet Altan è
"finalmente libero, ma ci sono ancora altri processi in corso
che lo potrebbero condannare per altri 25 anni, lui che ne ha
75, dopo i 4 già scontati". Il fatto di avere continuato a
scrivere (due libri) in carcere "significa per lui continuare la
lotta e sapere di aver ricevuto un premio internazionale lo ha
reso molto felice e grato". "Questo premio - ha concluso Cogar -
avrà un forte impatto nella vita delle persone turche e
rappresenta una piccola spinta in favore della libertà". Di
Bella ha invece raccontato in un libro "L'assedio. Washington
6/1/2021. Cronaca del giorno che ha cambiato la storia" la sua
sorprendente esperienza di quel giorno, quando centinaia di
manifestanti bianchi hanno assaltato Capitol Hill per una
dimostrazione pro Trump che si concluse con 5 vittime. "Descrivo
l'esperienza di quel 6 gennaio - ha detto Antonio Di Bella - non
vista con l'eroismo, che non è stato, del giornalista che s'è
trovato a fare la diretta nel mezzo della violenza di una
manifestazione, ma soprattutto una testimonianza che si
confronta tuttora con il 30% degli americani e di altri Paesi
che nega quello che è accaduto. Che dice: è una finzione, tu sei
un falsario come tutti i giornalisti, era una manifestazione
pacifica ma dentro c'erano i provocatori democratici che
appositamente hanno fatto violenza per addossare la
responsabilità a Trump che è innocente. Questa è la cosa più
sorprendente - ha continuato il corrispondente Rai dagli Usa -
perché mi capita che tante persone, amici che conosco in
America, e non solo, ci credono. Dimostra che neanche il
giornalista che è testimone oculare di un fatto viene più
creduto, perché il mondo di internet e più ancora di Facebook va
alla caccia di chi amplifica quello che già io so. Non c'è più
il posto dove tu guardi per documentarti, il giornale, ma c'è
l'amplificazione dei tuoi pregiudizi. Insomma, finisce che io
ero lì, ma nessuno mi crede". Intervistato dalla giornalista
dell'ANSA Nicoletta Tamberlich, Antonio Di Bella ha descritto
altri particolari di quel giorno: "tantissimi manifestanti erano
poliziotti bianchi in libera uscita ai quali quelli in divisa
non si sono opposti" e ricordando le telecamere rotte di troupe
giornalistiche aggredite dai manifestanti.
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