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La figlia di Saba fu anche autrice per il cinema

Scrisse due sceneggiature. Un saggio di Marina Silvestri

 LINUCCIA SABA E IL CINEMA, UN SOGNO NEGATO, con un saggio introduttivo di Marina Silvestri (Eut, pp. 110 - euro 12). Quando un pomeriggio dei primi di gennaio del 1941 Lionello Zorn Giorni, triestino di famiglia abbiente originaria della Svezia, annuncia a Umberto Saba l'intenzione di sposare Linuccia, sua figlia, il poeta lo gela rispondendogli dapprima con una scarica di epiteti - "Nello lei è un genio o un imbecille, forse un pazzo" - poi con una serie di domande: "Vorrebbe portarmi via la Linuccia? E pretenderebbe anche una dote? Quanti soldi sarebbe disposto a pagarmi un milione, due milioni, cento milioni?". A raccontare l'aneddoto è la giornalista Marina Silvestri nel saggio introduttivo a "Linuccia Saba e il cinema, un sogno negato".
    Non è un episodio insignificante: i Saba erano angustiati da problemi economici, un tratto di cui - per eredità genetica dal padre o per consuetudine - Linuccia sarà pervasa. Forse non è un caso se i due soggetti cinematografici da lei scritti intorno al 1948 - e il cui ritrovamento ha dato vita al libro - hanno per argomento proprio il denaro. D'altronde, la stessa Linuccia - cita Marina Silvestri nel saggio introduttivo - sostenne che a spingerla a scrivere per il cinema fu solo una questione di soldi. La fonte è attendibile: Carlo Levi, nel 1950. Levi era il compagno di Linuccia, sebbene lei fosse sposata allo scenografo e sceneggiatore Zorn Giorni, il quale evidentemente non si fece intimidire dalla risolutezza di Saba padre e alla fine ottenne la mano dell'amata. I due si sposarono segretamente nel gennaio 1941 e Umberto Saba si arrabbiò molto: non rivolse più la parola al genero fino al luglio successivo.
    Insomma, Marina Silvestri dal ritrovamento dei due soggetti cinematografici - conservati nel fondo Benco-Gruber Biblioteca Civica di Trieste - attraverso una approfondita ricerca ricostruisce, arricchendola di nuovi elementi, la personalità di Linuccia Saba e indirettamente di suo padre Umberto. Donna emancipata, divisa tra la Trieste di letteratura e cinema e la Roma del fermento neorealista, la stravagante Linuccia visse fuori dagli schemi. Scrisse articoli di giornale (firmandosi Annetta Pane; Saba in ebraico indica pane) e fu anche pittrice, incoraggiata da Corrado Cagli, partecipando dal 1950 in poi a numerose edizioni della Quadriennale di Roma e della Biennale di Venezia, esponendo in mostre collettive e personali. Fu inoltre depositaria del patrimonio artistico e letterario di Carlo Levi, che morì nel 1975. Vicende queste che si conoscevano. Di lei, invece, si ignorava che avesse scritto per il cinema. Ma Trieste in quegli anni con il cinema aveva un rapporto intenso: lo zio di Linuccia era Enrico Wolfler, gestore di cinema e teatri, noti e tanti erano i triestini che vivevano di cinema: Tullio Kezich, Franco Giraldi, Callisto Cosulich. E suo marito, Zorn Giorni.
    I due soggetti scritti da Linuccia, riporta la Silvestri, sono "drammi della povertà, del disagio sociale, del riscatto, del sogno di un mondo migliore, temi privilegiati dal neorealismo". "Una storia milanese" è la vicenda di una giovane donna che viene dissuasa dal suicidio da un uomo che le regala diecimila lire. "Il triangolo della virtù" è invece un intreccio completamente diverso, è la storia di un uomo che ruba a una donna anziana 50 mila lire per salvare dai debiti il fratello della donna amata.
   

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