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Giulio Einaudi, 20 anni fa la morte del grande editore

Ernesto Ferrero ricorda "l'uomo che guardava sempre al futuro"

 Il nome di Giulio Einaudi, a venti anni dalla sua scomparsa il 5 aprile 1999, resta legato alla storia della cultura italiana del Novecento attraverso le importanti scoperte e pubblicazioni della casa editrice che porta il suo nome e che fondò ventenne nel 1933 ''con quel coraggio e quella capacità di guardare sempre avanti che sono state sue proprie sempre, se allora decise con un gruppo di amici, che non a caso erano stati allievi di Augusto Monti al liceo D'Azeglio di Torino, di mettere su un'impresa guardando, in un momento in cui pareva difficile da pensare, già al dopo fascismo con molta immaginazione e capacità di mettersi in gioco'', come spiega Ernesto Ferrero, scrittore che per oltre venti anni ha lavorato al suo fianco nella casa editrice, prima capo ufficio stampa, poi direttore letterario e quindi editoriale.
Einaudi partì, con al fianco Leone Ginzburg, intellettuale e studioso dai mille interessi, pubblicando libri di grande libertà e capacità critica che potremmo definire non allineati, non a caso puntando l'attenzione su storia ed economia, poi aprendo alla letteratura se già nel '39 diede alle stampe ''Le occasioni'' di Montale (di cui Gobetti, sempre a Torino, nel '25 aveva pubblicato ''Ossi di seppia''). ''La casa editrice era un'impresa senza la consueta struttura gerarchica - racconta sempre Ferrero - e con alla base un pensiero del padre di Giulio, Luigi Einaudi, che nel '21 aveva scritto che il sale della democrazia era il confronto tra le idee, lo scontro dialettico rispettoso dell'altro. Sul lavoro quindi non cercava mai l'unanimità ma tutto nasceva da scambi e dibattiti anche duri, avendo voluto attorno un gruppo di persone di grande valore e indipendenza. A fine anni '30 arriva in casa editrice Pavese, poi vengono Vittorini, la Ginzburg, Calvino e a collaborare c'erano figure come Mila, Bobbio, Venturi. Riuscire a governare una macchina così complessa, a tenerne in equilibrio pesi e contrappesi non era facile. Lui ci riusciva in questa operazione delicata, con grande capacità politica di trasformare quella discordia di persone appassionate e capaci di infervorarsi in concordia e in scelte per le quali aveva un gran fiuto''.
La leggenda dice che intuisse in modo istintivo e immediato le qualità di un libro senza averlo letto. ''E' vero, aveva un incredibile fiuto per capire il valore innovativo di un'opera, che era poi quel che gli interessava di più, basandosi sulle discussioni di chi l'aveva letta. Era un grande direttore d'orchestra pur non essendo specialista di niente ma con molti specialisti attorno e, dal 1949, un braccio destro del valore di Giulio Bollati, che gli fu al fianco per trenta anni e quando il loro rapporto si incrinò cominciarono i problemi per la casa editrice''. Quando la Einaudi, nel 1984 finì commissariata e con i debiti congelati, cominciò subito a produrre utili, perché aveva tutte le possibilità per farlo. ''Il problema è che l'ultima delle questioni per Giulio Einaudi era quella commerciale - spiega Ferrero - Mai chiedersi se un libro avrebbe venduto, era come bestemmiare, ma solo interrogarsi sul suo valore di novità culturale, anche se magari lo si sarebbe poi scoperto (e venduto) dopo anni. Così a mandare alla fine tutto a gambe all'aria fu la costituzionale debolezza finanziaria dell'impresa, perché Einaudi rifiutò sempre qualsiasi apporto di denaro esterno, che pure avrebbe potuto avere, per conservare la propria assoluta indipendenza''.
Insomma, conclude Ferrero, ricordando che gli ultimi anni, quando fu felice, tornando in casa editrice da presidente libero e con solo l'impegno di cercare autori nuovi e far scoperte (quindi anche libero di occuparsi delle sue amate rose e della sua terra e vino a Dogliani), ''era un uomo che amava la vita e cercava di far sì che ogni giorno fosse memorabile, fatto di emozioni, entusiasmi, ricerche e scoperte. Se qualcosa si può prendere da lui è la sua voglia di capire e progettare il futuro. Non conosceva la nostalgia, che, sempre proiettato in avanti, a progettare, a trovare giovani talenti, giudicava un sentimento negativo''.

   

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