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Matar, padri e figli ne 'Il ritorno'

Scrittore, guai a chiudersi nell'ossessione del passato

      - (HISHAM MATAR, IL RITORNO, PADRI, FIGLI E LA TERRA FRA DI LORO, EINAUDI, PP. 256, EURO 19,50) Cosa significa appartenere a qualcuno, a un Paese? Il viaggio di Hisham Matar ha questo nucleo potente dentro. E non cerca una risposta, ma un nuovo sguardo che non sia quello che si rivolge ossessivamente al passato o al futuro, nel suo nuovo romanzo 'Il ritorno', pubblicato da Einaudi nella traduzione di Anna Nadotti. E proprio con la Nadotti e l'anglista Annalisa Oboe, lo scrittore, dopo essere stato a 'Libri Come' a Roma, sarà protagonista il 1 aprile del Festival Incroci di Civiltà a Venezia.

Fra i migliori libri dell'anno 2016 su tutte le più importanti liste internazionali, 'Il ritorno' è un memoir ma tante altre cose insieme che riguardano i "padri, i figli e la terra fra di loro" in cui vediamo Matar compiere un percorso che si interseca con la storia della Libia del XX secolo. Nato a New York nel 1970 da genitori libici, lo scrittore è vissuto a Tripoli e poi al Cairo prima di trasferirsi a Londra, dove abita. Il padre Jaballa era un forte oppositore di Gheddafi e quando Hisham aveva 19 anni è stato sequestrato al Cairo e rinchiuso nella prigione libica di Abu Salim da dove è sparito per sempre. "La cosa curiosa in tutto questo è che io non sono particolarmente interessato alla mia famiglia o a me stesso o al mio paese. Sono cose misteriose. Quello che mi interessa è il modo in cui il mio coinvolgimento personale, lungo e protratto nel tempo, mi abbia portato a confrontarmi su questioni personali, sulla natura, l'interiorità, l'amore e il ricordo" dice all'ANSA Matar. "La Libia non deve essere vista come un luogo da sfruttare o una barriera per i barbari" spiega lo scrittore parlando di quello che è accaduto e sta accadendo in quel Paese.

"Bisogna individuare le responsabilità che hanno i Paesi nel rapporto con questa terra, è una questione che va approfondita. Nel caso dell'Italia, che ha fatto affari con il regime dannoso di Gheddafi, il modo in cui si è rapportata alla Libia negli ultimi 40 anni ha contribuito alla situazione attuale" aggiunge lo scrittore che non esita a sottolineare che, in generale "viviamo un tempo di preoccupazioni". Ad affascinare Matar, come mostra ne 'Il ritorno' è anche "la distanza tra quello che proviamo e quello che diciamo. Le due cose non sono mai del tutto fedeli l'una all'altra. Forse uno scopo del linguaggio è proprio tradirci. Dire un pò di più di quello che vogliamo dire" aggiunge l'autore di libri come 'Nessuno al mondo' e 'Anatomia di una scomparsa'. Vado e vedo che succede ha pensato Matar quando è partito per la Libia dove è tornato 33 anni dopo averla lasciata.

"La rivista The New Yorker per cui ho fatto diversi articoli e reportage mi aveva chiesto di scrivere qualcosa ma quando sono tornato per due, tre mesi non sono riuscito a buttare giù una riga. Non mi è mai capitato al punto che sono arrivato a pensare di dover cambiare mestiere. Finchè non sono andato a trovare un amico e ho portato con me i quaderni della Libia, li ho letti a lui come se fossero di un altro e così è nato il saggio che ho scritto per il New Yorker, prima di 5 mila parole e alla fine quasi di 11 mila. A quel punto sapevo che sarebbe diventato un libro" racconta Matar al quale non piace molto la parola memoir.

Ne 'Il ritorno' "ho voluto portare altre voci. Scrivo su di me, ma ho voluto farlo in modo che non fosse soltanto su me stesso e questo ha richiesto un livello di onestà molto difficile all'inizio" spiega lo scrittore che vive per tre mesi all'anno a New York dove insegna. Nel memoir anche i motivi che spingono a tornare, la consolazione dell'arte e della bellezza e l'orrore. "La parola ritorno è piuttosto volatile e forse non è possibile mai tornare a nulla" afferma l'autore che per tanto tempo ha fatto un sogno ricorrente in cui appariva a se stesso con la testa girata indietro, deformato. "Il mio inconscio mi stava dicendo che ero ossessionato dal passato.

Le esperienze di questi 33 anni di assenza mi hanno fatto capire che la vita va vissuta. Bisogna avere uno spazio in cui c'è posto per presente, passato e futuro" come accade per il padre di Matar che è in tutte queste tre dimensioni insieme. "E bisogna - sottolinea - affrontare tutto questo: storia e politica, riflessione sulle cose più belle e le più terribili, come il massacro, non con sdegno o rimpianto ma con un atteggiamento più vitale". 

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