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Branagh, il mio ritorno a casa con Belfast

Cinema

Branagh, il mio ritorno a casa con Belfast

A Toronto film più autobiografico dell'attore e regista

ROMA, 15 settembre 2021, 18:20

di Francesca Pierleoni

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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(ANSA) - ROMA, 15 SET -Un "ritorno a casa" attraverso un film che ha iniziato a scrivere nelle prime settimane di lockdown. "E' Belfast, il film più autobiografico di Kenneth Branagh, racconto della sua infanzia nella natia capitale nordirlandese, che la sua famiglia, protestante, ha lasciato nel 1969 per trasferirsi in Inghilterra all'inizio della prima fase dei Troubles, gli scontri fra Irlandesi Cattolici Repubblicani e gli Irlandesi Protestanti Unionisti. Al debutto a Telluride e poi al Toronto International Film Festival, il film interpretato fra gli altri da Caitriona Balfe, Judi Dench, Jamie Dornan, Ciaran Hinds, Colin Morgan, e Jude Hill nei panni del piccolo protagonista, Buddy, girato in gran parte in bianco e nero ha conquistato i critici che lo indicano fra i titoli papabili per varie nomination agli Oscar. "Lavorare a Belfast per me ha costituito un ritorno in un luogo di sicurezze in un momento come questo nel quale viviamo una generalizzata incertezza a causa della pandemia - spiega Branagh nell'incontro in streaming organizzato al Tiff -. Volevo tornare in un momento nel quale i miei rapporti con il mondo erano definiti, dove potevo essere me stesso con facilità ed era impossibile perdersi, anche fisicamente, visto che conoscevi mezza città e nell'altra metà c'erano persone con cui sicuramente avresti trovati qualche legame o conoscenza in comune". Il film "è anche un ringraziamento a tutti quelli che hanno vegliato su di me e mi hanno aiutato a crescere in quegli anni". Belfast esplora anche come il conflitto in Irlanda si sia manifestato repentinamente, sconvolgendo la realtà "a cui eravamo abituati. Ho sentito come se mi togliessero il terreno da sotto i piedi, ho iniziato a vedere barricate erette alla fine delle strade dove giocavo". La sua famiglia, "come molte altre ha dovuto imparare a navigare in una realtà del tutto nuova e piena di incognite, qualcosa che penso stiamo vivendo anche in questo periodo di pandemia". Guardando il film "spero che emerga la resilienza, lo humour, la fierezza, la determinazione dei nordirlandesi, dimostrata anche nel sostenere l'accordo di pace raggiunto nel 1998, lasciandosi alle spalle il dolore del passato". La conversazione ha spaziato anche su altre tappe della carriera di Branagh come il suo esplosivo debutto alla regia nel 1989 con Enrico V, che da star della scena inglese l'ha reso un autore e protagonista sul grande schermo di fama internazionale. "In quel film ho iniziato ad appendere una lezione che ancora cerco di mettere in pratica, non pretendere di insegnare agli altri il loro lavoro, ma indicare la strada che si vuole e fidarsi del loro talento, permettergli di far lavorare la loro immaginazione". Il regista si è soffermato, fra i vari temi, anche sui recenti adattamenti da Agatha Christie: dopo Assassinio sull'Orient Express nel 2017, debutterà al cinema nel 2022 Assassinio sul Nilo, con il cineasta di nuovo anche protagonista nei panni di Hercule Poirot in un cast che comprende Annette Bening, Russell Brand, Ali Fazal, Dawn French, Gal Gadot, Armie Hammer. "Mi affascina molto la ricchezza dei suoi personaggi. Agatha Christie sapeva come orchestrare un ensemble, facendo emergere in ognuno i tratti del suo stile. Nelle sue storie ogni particolare, ogni gesto o sguardo, è importante. Penso sia una scrittrice molto migliore di quanto in molti la giudichino". Nei romanzi "amava dare al pubblico l'eccitazione di visitare posti incredibili ma allo stesso tempo nei crimini di cui scriveva, infondeva il senso più profondo delle fragilità e del male umano".

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