Atmosfere rarefatte e nessuna concessione. In LA VEDUTA LUMINOSA di Fabrizio Ferraro, fuori concorso al Festival di Berlino, si racconta di poesia, natura e uomo. E lo si fa con un riferimento alto: quello di Friedrich Hölderlin. Ferraro, 47 anni, laurea in filosofia e tanti film da festival, film 'necessari', è abituato così da sempre, da quel Je Suis Simone (La Condition Ouvrière) del 2009 in cui evoca Il lavoro in fabbrica della filosofa francese Simone Weil (dal 4 dicembre 1934 all'agosto 1935). Questa volta nel suo La veduta luminosa - prodotto da Passepartout, Eddie Saeta e Rai Cinema - i protagonisti sono due: Mr. Emmer (Alessandro Carlini), regista cupo, introverso e tabagista cronico che non lavora da tempo, e Catarina (Catarina Wallenstein), mite assistente di 'un produttore assente', ovvero la rappresentante di una produzione coraggiosa che vuol portare avanti un'opera sul poeta tedesco destinato a una lunga, ma produttiva pazzia. I due, che più diversi non potrebbero essere, partono così in auto verso Tubinga, alla ricerca dei luoghi di Friedrich Hölderlin, ma il viaggio ha tempi lunghi ed è fatto da molti silenzi del regista intramezzati da sue considerazioni, sentenze, via via più deliranti e auto erotiche. "Non sappiamo nulla della sofferenza di un uccello chiuso in gabbia", dice Mr. Emmer (omaggio di Ferraro al regista Luciano Emmer scomparso nel 2009). O ancora: "Il ragno non sa nulla della mosca perché i fili sono proporzionali alla sua cecità, a quello che non è capace di vedere". Un film che il regista, Fabrizio Ferraro, racconta così all'ANSA: "Con 'La veduta luminosa' - in onda su Rai Tre a Fuori orario sabato 6 marzo - abbiamo affrontato l'Hölderlin che accetta l'assenza di attrazione per il fuoco divino e vede il voltarsi obbligato degli umani per una natura non più casa divina. Noi lo abbiamo odorato e sentito nella foresta quel qualcosa dall'impossibile comprensione: la vita immediata che sfugge mentre si cerca di contenerla. E questa fuga - continua il regista -, che canta una concretissima presenza astratta, è proprio un'arte, l'arte della fuga." Ma vera sintesi di questo film è la lettera immaginaria di Fabrizio Ferraro al produttore Lluis (omaggio a Lluis Minarro, produttore di un film ultra onirico premiato a Cannes, ovvero LO ZIO BOONMEE di Apichatpong Weerasethakul) in cui c'è tutta l'anima del progetto: "Come ben sai, l'avvicinamento alla lavorazione del film è stato molto istintuale. Siamo andati avanti senza darci troppe spiegazioni. E ti ringrazio da subito per aver accolto questo movimento; anche per questo forse ci siamo ritrovati. Non posso che ammirare il modo di metterti in ascolto senza preordinare nulla, attendere di scoprire le cose evitando l'imposizione di un discorso anticipatorio".
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