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Gassmann, il mio viaggio nell'intolleranza

Gassmann, il mio viaggio nell'intolleranza

Alla Sic in concorso Non odiare di Mauro Mancini

VENEZIA, 06 settembre 2020, 19:29

di Francesco Gallo

ANSACheck

Non odiare - RIPRODUZIONE RISERVATA

Non odiare - RIPRODUZIONE RISERVATA
Non odiare - RIPRODUZIONE RISERVATA

L'odio, di generazione in generazione, tra nazisti ed ebrei tutto in un film che si svolge ai giorni nostri e dal titolo esplicito: 'Non odiare'. Opera prima di Mauro Mancini e unico film italiano in Concorso alla 35/a edizione della Settimana Internazionale della Critica a Venezia, questo lungometraggio racconta, tra molti silenzi, una storia ambientata in una città del nord-est qualsiasi (in questo caso Trieste).

Qui vive Simone Segre (Alessandro Gassmann), affermato chirurgo di origine ebraica che un giorno scopre tutta la sua intolleranza quando si ritrova a non soccorrere un uomo vittima di un pirata della strada nel momento in cui scopre sul suo petto un tatuaggio nazista. Consumato ben presto dai sensi di colpa, il medico rintraccia la famiglia dell'uomo: Marica (Sara Serraiocco), la figlia maggiore; Marcello (Luka Zunic) antisemita come il padre e il piccolo di casa, Paolo (Lorenzo Buonora). Assunta Marica come donna di servizio nella sua agiata abitazione, Simone avrà con la ragazza un atteggiamento tra protezione e amore fino a quando il destino busserà di nuovo alla sua porta riportando il medico di fronte ad un'altra ineludibile scelta ideologica ed esistenziale.

Non odiare, in sala dal 10 settembre con Notorious Pictures, "racconta quello che siamo sotto la pelle. La pelle bianca, 'ariana', che vorrebbero avere Marcello e i suoi amici neonazisti e quella bianca, 'non ariana', di Simone. La pelle tatuata del padre di Marcello e quella marchiata del padre di Simone. La pelle 'scura' dei migranti pestati a sangue nei bangla-tour e quella diafana, limpida di Marica", sottolinea Mancini. Sulla genesi della sceneggiatura scritta con Davide Lisino, dice il regista: "Abbiamo preso spunto da un fatto di cronaca avvenuto a Paderborn, in Germania. Un medico ebreo si rifiutò di operare un paziente a causa del vistoso tatuaggio nazista che aveva sulla spalla".

"Mi ha fatto piacere girare un'opera prima - dice Gassmann - che, nonostante il tema, non ha una volontà didattica. E mi fa piacere anche perché la madre di mio padre era ebrea e la mia famiglia ho avuto due persone morte nei campi di concentramento". Nei panni del personaggio, spiega poi l'attore, "io probabilmente avrei salvato l'uomo ferito. Da giovane, devo dire, ero aggressivo, ma ora credo che la cosa più importante sia capire dove nasce l'odio. Quello stesso odio che c'è nei social dove - aggiunge - ci sono dei vigliacchi che minacciano da lontano". La ricandidatura di Virginia Raggi a sindaco di Roma? "Ho una domanda di riserva?", risponde divertito Gassmann. "Non riesco a dare un giudizio sulla mia città natia - dice poi - ma certo Roma non sta meglio di come era dieci anni fa". Infine, su questa edizione della Mostra di Venezia: "È un festival della sopravvivenza che andava fatto. L'indotto cinema conta ben 200.000 persone che hanno bisogno di lavorare. Spero solo che il cinema non soffra troppo fino al vaccino. Insomma: coraggio".

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