Il Sundance incubatore del
coronavirus? L'"Hollywood Reporter" prospetta questo inquietante
scenario riportando decine di casi di partecipanti al festival
creato da Robert Redford che celebra ogni anno a fine gennaio il
meglio del cinema indipendente.
"Molti partecipanti hanno lasciato il Sundance in condizioni
peggiori di come erano arrivati", scrive la bibbia
dell'entertainment riportando il parere del microbiologo Dean
Hart: "Lo scenario coronavirus è probabile", ha detto l'esperto
in trasmissioni sul virus: "Il Sundance offre la formula
perfetta perché il Covid possa entrare in città e contaminare
tutti". Non è del resto una novità che Park City si trasformi in
un incubatore di malattie in occasione del festival: ogni anno
l'oasi sulle montagne dello Utah si trasforma in una piccola
città ad alta densità abitativa grazie a 120mila appassionati da
tutto il mondo stipati nelle sale, nei bar e nei ristoranti
durante il picco della stagione influenzale.
La differenza stavolta è stata la gravità e la durata dei
sintomi, poco in linea con le banali influenze stagionali.
Nessuno dei partecipanti al festival che si sono ammalati sono
stati testati ed è ancora troppo presto per verificare se hanno
sviluppato gli anticorpi contro il Covid-19. Ci vorrà tempo
dunque per accertare se il Sundance sia stato un importante
focolaio di infezione. Ma i casi riportati dal giornale di
Hollywood sono significativi: decine e decine con sintomi allora
misteriosi tra cui uno sceneggiatore e tre dei suoi amici,
"tutti con la stessa strana malattia, un po' diversa per
ciascuno, ma sempre molto intensa".
Il Sundance è cominciato in tempi allora non sospetti il 23
gennaio, il giorno del lockdown a Wuhan e 48 ore dopo il primo
caso annunciato ufficialmente di contagio nello stato di
Washington. In realtà il virus circolava negli Usa già da prima:
in Illinois a metà gennaio secondo quanto riportato da Lancet,
poi in California, con i primi morti ai primi di febbraio. Alla
fine di marzo il coronavirus aveva toccato tutti gli Stati Usa.
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