E' stata la prima donna in concorso a Cannes, era Mimì metallurgico 1972 e la prima donna candidata all'Oscar come migliore regista, per il film Pasqualino Settebellezze nella cerimonia del 1977. Oggi Lina Wertmuller ha 90 anni e dei premi avuti e mancati non le importa più nulla. E' al festival di Cannes con la figlia Maria e l'amico Valerio Ruiz che qualche anno fa le dedicò un affettuoso documentario, Dietro gli occhiali bianchi, per partecipare alla presentazione del restauro proprio di 'Pasqualino', un film di culto realizzato dalla regista e oggi a Cannes Classics alla presenza sua e di Giancarlo Giannini. Il Centro Sperimentale di Cinematografia e la Cineteca Nazionale hanno curato, grazie all'impegno economico di Genoma Films, il restauro del film del 1975.
"Un Oscar alla carriera non ci starebbe male" dice la figlia Maria accanto alla madre. Con Giannini "il sodalizio di una vita, nove film insieme", dice. "A lei devo tutto", replica lui grato. L'opera della Wertmuller, i suoi film di rottura negli anni '70 sono molto amati anche all'estero e sono tante le rassegne nel mondo a lei dedicate e, dopo quella di marzo a Londra, una imminente è prevista a Manchester quest'estate.
Ricordi di Pasqualino non affiorano alla mente dell'anziana regista che, quando la figlia Maria e Valerio Ruiz le ricordano l'origine del personaggio, "una comparsa di Cinecittà conosciuta durante le riprese di Mimì e che era sopravvissuta rocambolescamente al lager nazista", annuisce. Inutile chiedere di tutta la filmografia qual è il suo film del cuore, Lina risponde che non lo sa e la figlia aggiunge che "mai mamma lo ha detto, sono tutti suoi figli". L'opera di restauro di Pasqualino settebellezze "è seria e meritoria", dice la Wertmuller che è particolarmente legata al Centro sperimentale di cinematografia per il quale è stata docente e commissario straordinario. Pensare ad un nuovo film forse è un sogno, "ma tanti sono gli argomenti che lo meriterebbero", conclude.
Pasqualino Settebellezze ottenne una candidatura ai Golden Globe e quattro candidature all'Oscar (tra cui quella come miglior regista, prima volta in assoluto nella storia dell'Academy per una donna). È un'apologia intelligente e feroce dell'arte di arrangiarsi e sopravvivere ad ogni costo, tipica della cultura partenopea: Giancarlo Giannini è il guappo che nella Napoli del 1936 uccide il seduttore di una delle sue sette, brutte sorelle (da qui il suo soprannome), viene rinchiuso in un manicomio criminale da cui esce come volontario di guerra per finire in un lager tedesco e diventare kapò.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA