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Meta a Giffoni, "Negli altri il nostro specchio"

Cantautore, in musica più degli occhi azzurri conta il congiuntivo

GIFFONI VALLE PIANA (SALERNO), 21 LUG - Capire "che gli altri sono solo il nostro specchio, che abbiamo in mano il futuro del nostro Paese, dipende da tutti noi, e soprattutto da voi che siete gli alberi giovani". Parola di Ermal Meta, protagonista di una seguitissima masterclass al Giffoni Film festival e stasera di un evento live. Il cantautore, vincitore dell'ultimo Sanremo insieme a Fabrizio Moro (anche lui ospite nei prossimi giorni al Festival) nel rispondere ai giovani giurati ha mescolato riflessioni sulla sua lunga gavetta ("Aver suonato a lungo in tutti i buchi d'Italia è stato positivo, quando hai poche persone a un metro da te, la tua attenzione aumenta"), i temi delle sue canzoni e il successo. Negli ultimi anni "ho assistito a un impoverimento del linguaggio all'interno della musica e delle canzoni. Ogni genere e stile può avere spazio, il vero problema è quando, a volte, si tenta di distruggere la grammatica italiana. Scrivi quello che vuoi ma fallo bene, perché più di un paio di occhi azzurri, quello che veramente piace tanto è l'uso corretto del congiuntivo". Meta, che da tre anni non si ferma, tra live, album, Sanremo e impegno come giudice ad Amici, è in pieno tour con l'ultimo disco, Non abbiamo armi: "Continuerò con i concerti almeno fino a fine anno, farmi frenare dalla stanchezza fisica sarebbe sabotarmi da solo e poi non posso fare a meno della musica dei live, lì non puoi bluffare". La musica è stata scoperta da Meta a quattro anni: "Ero in sala di registrazione con mia madre che suonava in un'orchestra. Mi aveva 'parcheggiato' sullo sgabello davanti a un pianoforte. Quei tasti bianchi e neri mi hanno stregato". A sette anni per lui la musica era già un "chiodo fisso" ma c'era anche l'obiettivo dell'università: "Studiavo lingue, mi sono fermato all'ultimo esame, me lo tengo per la vecchiaia - dice sorridendo -. Mi aveva chiamato la Caselli e quando lei chiama non puoi dire di no". Rispetto ai suoi inizi, nel 1997, oggi "le case discografiche non fanno più scouting" e per farsi notare nel mondo della musica si utilizzano il web e i talent: "Bisogna distinguere tra popolarità e successo. Puoi essere famosissimo ma per ragioni non proprio edificanti. Non bisogna cercare di essere popolare a tutti i costi. La parola talent è un contenitore, quello che conta è il contenuto, e a quello molti non guardano con attenzione. Con la popolarità ti conoscono migliaia di persone; il successo invece vuole dire che quello che tu fai e ami riesce a toccare in qualche modo le vite altrui. Se avessi 18 anni proverei qualunque strada ma preferirei sempre un piccolo successo a una grande inutile popolarità". Nato in Albania 37 anni fa, ma cresciuto in Puglia dove è arrivato con la madre a 13 anni, Meta definisce "incredibile" l'accoglienza avuta nel suo Paese d'origine dove è da poco stato in concerto: "C'erano 100 mila persone in piazza. Cantando le prime canzoni mi venivano le lacrime. Quello però è un successo di riflesso, c'è nei loro occhi l'orgoglio di sapere che sono loro figlio. Il successo in Italia invece ha basi più solide. Qui vedo negli occhi del pubblico la partecipazione e la gioia di qualcosa che abbiamo costruito insieme".

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