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Garrel, la mia generazione senza ideologie

Attore è protagonista di Il mio Godard di Hazanavicius

"Nella mia generazione, l'engagement ideologico è finito, come lo scontro frontale puro e duro, altro che Sessantotto!" A parlare così a Roma è l'attore Louis Garrel protagonista assoluto di 'Il mio Godard' di Michel Hazanavicius, film già in concorso al Festival di Cannes e ora dal 31 ottobre in sala distribuito in sessanta copie da Cinema di Valerio De Paolis.

E Garrel interpreta un buffo Godard, a metà tra Nanni Moretti e Vittorio Sgarbi, raccontando, su tutto, il suo impegno maoista nel 1968. Ovvero si prendono in considerazione solo pochi anni della vita del critico e regista della Nouvelle Vague, quelli della svolta da un cinema d'impegno, ideologico, a quello più sentimentale e aperto. Quegli stessi anni in cui vive la storia d'amore con Anne Wiazemsky (Stacy Martin). Protagonista di questo film del premio Oscar Hazanavicius (The Artist), è anche e soprattutto il '68 che viene trattato, proprio come Godard, con la stessa ironia.

"Un parallelo tra quegli anni ed oggi è impossibile - dice il regista - anche se ci sono ancora forti forme di protesta in Francia. Ma nel '68 la situazione era ben diversa, c'erano cinque milioni di disoccupati e, dall'altra parte, c'era la destra di De Gaulle. Oggi la sinistra -aggiunge- non ha più la forza propulsiva di allora e viene vista invece come rappresentata da persone grigie e tristi". Il Godard raccontato da Hazanavicius, e ispirato al libro di Anne Wiazemsky (Un an apres) dice sempre il regista a Roma : "è un uomo dalle mille facce, un rivoluzionario che si è esposto in prima persona mettendo a rischio la sua stessa vita privata. Un eroe, per certi versi, ma che aveva anche il problema di non amarsi abbastanza. Godard era insomma un grande uomo, così lo abbiamo in qualche modo umanizzato".

D'altronde spiega ancora Michel Hazanavicius: "Tutto è politica anche la commedia. E la mia preoccupazione costante nel rappresentare quest'uomo in cui era tutto o bianco o nero, è stata quella di creare un equilibrio giocoso, di fare qualcosa tra omaggio e ironia guardando stilisticamente ad autori come Scola, Monicelli, Risi come ai loro cugini americani Billy Wilder e Ernst Lubitsch". Dello stesso parere Louis Garrel: "È certamente un Godard di finzione quello che ho interpretato, raccontato non con nostalgia, ma con un tono da commedia. Nessun realismo, ma uno spirito alla Groucho-Marx. Non è insomma un documentario perché c'è tutta la distanza dell'umorismo. E questo vale anche per quanto riguarda un'epoca che non esiste più e viene trattata in modo leggero. Non è certo -conclude l'attore - il Sessantotto raccontato da Bernardo Bertolucci in The Dreamers".

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