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Ai Weiwei racconta la marea dei migranti

Ai Weiwei racconta la marea dei migranti

Artista dissidente cinese in concorso con documentario politico

ROMA, 31 luglio 2017, 18:55

Alessandra Magliaro

ANSACheck

Human Flow, foto di scena - RIPRODUZIONE RISERVATA

Human Flow, foto di scena - RIPRODUZIONE RISERVATA
Human Flow, foto di scena - RIPRODUZIONE RISERVATA

Vive a Berlino ed è un migrante di fatto anche lui, lontano dal paese d'origine, la Cina, che lo ha ostacolato in ogni modo, arrestandolo, sottraendogli anni fa la possibilità di viaggiare, 'confinandolo' nello studio a Pechino e che ora, a passaporto restituito, lo fa vivere lontano. Ai Weiwei, 60 anni il 28 agosto, testimone con la sua arte e con la sua stessa vita, è l'artista che più rappresenta la condizione di straniamento che può vivere un migrante. A Firenze a gennaio i suoi barconi rossi appesi esternamente alle pareti di Palazzo Strozzi sono stati esempio di arte come gesto politico. E in questa ottica arriva alla Mostra del cinema di Venezia Human Flow, scelto per il concorso di Venezia 74 (30 agosto - 9 settembre), un film documentario, il suo primo, che Ai Weiwei, paladino per i diritti umani, ha realizzato all'isola greca di Lesbo.

Il tema dei migranti è diventato centrale per l'artista di Pechino sempre di più negli ultimi anni. "Non c'è una crisi dei rifugiati ma piuttosto una crisi umana. Il confine non è a Lesbo, ma si trova in verità nelle nostra mente e nella nostra anima", racconta l'artista. Oltre ai barconi di Palazzo Strozzi, nel febbraio 2016, Ai Weiwei ha appeso oltre 10 mila giubbotti di salvataggio alle colonne del Konzerthaus di Berlino, giacche autentiche che avevano aiutato i rifugiati che arrivavano sulla riva su Lesbo. Un'installazione simile l'ha creata al Palazzo Belvedere di Vienna. La 'marea umana' (human flow) cui Ai Weiwei dedica il documentario che si vedrà a Venezia è quella dell'impressionante crisi globale dei profughi. L'artista li ha conosciuti direttamente a Lesbo, dove è tornato varie volte, ma poi li ha cercati nel corso di due anni in 23 nazioni, tra Grecia Bangladesh, Kenya, Gaza e la frontiera messico-americana, per cercare di catturare una condizione umana allucinante che vede oggi più di 65 milioni di sfollati fuggiti dalle loro case e in cerca di nuove vite.

"Nel dicembre 2015 - racconta lui stesso - sono andato in viaggio all'isola di Lesbo per assistere da vicino all'arrivo dei migranti lungo le coste europee. Ho deciso quindi di fare un film che analizzasse le condizioni del flusso migratorio in corso e dello spostamento non volontario della popolazione - il più consistente dalla Seconda Guerra Mondiale - e cosa potessero rivelare sulla nostra umanità le nostre reazioni di fronte alla crisi. Durante le riprese del documentario ho visitato oltre 40 campi profughi e condotto centinaia di interviste per cercare di capire meglio la condizione globale che sta segnando il nostro tempo". Il film getta uno sguardo severo sulla situazione mondiale legata a queste tematiche e in particolare sugli Stati Uniti di Donald Trump. In una rara intervista l'artista dissidente cinese all'Afp sostiene che "tutti possono essere rifugiati. Quella che chiamiamo la crisi dei rifugiati è di fatto una crisi umanitaria. Non importa chi può essere rifugiato, potreste essere voi o potrei essere io. Credo - continua - che il problema dovrebbe essere compreso da chi ha la fortuna di vivere in pace. Penso che la pace sia sempre una situazione temporanea, nessuno può essere certo di vivere sempre in pace". E sull'America di Trump aggiunge: "La politica statunitense è triste e degradante, ha fatto molti passi indietro su molti aspetti".

Prodotto dallo stesso Ai Weiwei (con Participant Media e Rai Cinema, in associazione con AC Films), è stato tra l'altro acquistato da Amazon che lo farà uscire anche al cinema in America, mentre in Italia arriverà in sala con 01. "Sono felice che Human Flow venga proiettato in concorso alla Mostra di Venezia e sono grato nei confronti di Alberto Barbera e di tutto il team della Mostra per aver dato a questo tema e al mio primo documentario un palco così prestigioso", conclude.

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