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Room, la stanza-inferno di madre e figlio

In sala il film premio Oscar come miglior attrice a Brie Larson

(ANSA) - ROMA - Non si puo' dire non ci sia stato un effetto claustrofobia all'88/ma edizione degli Oscar. A portarsi a casa due importanti Oscar sono stati, tra gli altri, due lungometraggi ossessivamente fobici come 'Il figlio di Saul' di Lszl Nemes (miglior film straniero), dramma in soggettiva di un padre che vorrebbe seppellire il corpo del figlio ad Auschwitz, e poi 'Room' film di Lenny Abrahamson con Brie Larson (miglior attrice protagonista), tragedia in nove metri quadrati, basato sul bestseller di Emma Donoghue.

Il film, in sala dal 3 marzo con Universal, racconta di una segregazione con protagonisti una madre e un figlio chiusi in una stanza-inferno con una sola finestra sul soffitto. Uno scenario difficile da sopportare. Tra favola e thriller si svolge questa storia di prigionia e liberazione di Jack (Jacob Tremblay), bambino di cinque anni che non ha mai visto il mondo, non conosce ne' vento, ne' pioggia, ne' sole. Per lui c'e' solo la stanza e la sua amata Ma', sua madre, unico essere umano con cui e' entrato contatto insieme a quella occasionale del loro squallido carceriere. Il bambino non sa neppure che sua mamma lotta per sopravvivere nella loro stanza da quando aveva 17 anni e che e' anche riuscita a salvaguardarlo da questo orrore grazie alla sua fantasia e al suo affetto. Per Jack insomma i confini oltre la stanza sono vissuti, grazie alla madre, come un mondo di pura fantasia, proprio come quello che gli propone la tv, sempre accesa, che gli indica un'inedita prospettiva tridimensionale. Un mondo destinato a crollare quando Ma' gli propone un piano di fuga.

Dice la Donoghue, che e' anche la sceneggiatrice del film: ''Una delle idee che si celano dietro Room, e' che i bambini hanno la tendenza naturale a crescere. Finche' sono ricoperti d'amore e d'affetto, anche se in circostanze oscure o incomprensibili, si adattano, trovano un modo per star bene e crescere''. E ancora la scrittrice: ''Forse il piu' grande enigma dell'adattamento e' stato come contrastare la vita all'interno della Stanza che appare nella prima meta' del film, con il totale sovraccarico sensoriale della vita esterna nella caotica ma redentrice seconda parte. Anche se puo' sembrare che la battaglia di Ma' e Jack e' finita, risulta chiaro fin da subito che la loro liberta' richiedera' tanto piu' coraggio per Ma' e Jack di quanto ne abbia richiesto la Stanza'' Insomma una volta fuori non e' affatto facile.

Spiega sempre la scrittrice: ''La seconda parte della storia e' diversa, ma ritengo dia al film la sua universalita'. Non tutti abbiamo sperimentato la prigionia, ma tutti abbiamo passato i momenti di crescita con i nostri genitori, i momenti in cui ci siamo resi conto del cambiamento. Jack impara a conoscere nuovi lati della personalita' della madre. Nella Stanza si e' concentrata solo su di lui, e deve essere assolutamente snervante ora doverla condividere, e notare la differenza quando e' a contatto altre persone''.

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