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In un film la storia del 'Mago' Welles

A cento anni dalla nascita, a trenta dalla morte

Per due soli giorni, in 110 copie tra lunedì e martedì, il cinema italiano festeggia a suo modo il doppio anniversario di Orson Welles, che avrebbe compiuto 100 anni il 7 maggio scorso e che ha lasciato la terra giusto 30 anni, ad appena 70 anni e dopo aver vissuto almeno quattro vite, genio assoluto nell'arte del ventesimo secolo. L'iniziativa è della BIM che rivela l'avventurosa parabola del grande regista grazie al film di Chuck Workman. IL MAGO - L'INCREDIBILE VITA DI ORSON WELLES. Nato a Kenosha (vicino Chicago) nel 1915, indotto da una madre tiranna e assetata di cultura a debuttare in teatro ad appena tre anni, bimbo prodigio davanti alla tastiera di un pianoforte come nei giochi di prestigio imparati da Houdini per intrattenere gli ospiti, Welles è il tipico caso del genio che spende la sua vita per piacere e sedurre, ritrovandosi poi solo e incompreso. La sua scalata alla fama e la sua ricerca dell'arte assoluta lo ha portato a rivoluzionare il teatro americano a neppure vent'anni (celebre il suo "Macbeth" con attori di colore), a trasformare per sempre l'uso della radio (la falsa radiocronaca dello sbarco marziano ispirato alla "Guerra dei mondi" di H.G. Wells), a lasciare un segno indelebile nella storia del cinema con la sua opera prima, "Quarto potere" nel 1941. Per essere riconosciuto dovette però aspettare prima l'onore degli europei (Palma d'oro a Cannes nel 1952) e poi quello di Hollywood con un tardivo Oscar alla carriera nel 1972 che fece ritirare all'amico John Huston, nonostante se ne stesse rinchiuso in un albergo a poche centinaia di metri. Dopo il contrastato trionfo di "Quarto potere", avversato dal magnate della stampa Hearst che si riconosceva nel personaggio di Charles Foster Kane, tutti cercarono di accaparrarselo: ma tanto credevano nel suo fascino come attore e nella sua voce inconfondibile, tanto lo avversarono come regista, sicché non c'è un solo film da lui diretto che possa essere riconosciuto come effettivamente compiuto. "L'orgoglio degli Amberson" (1942) fu massacrato dai produttori, "Terrore sul mar nero" (1943) fu accreditato al co-regista Norman Foster, "Lo straniero" (1946) fu rimontato dai produttori e così "La signora di Shanghai"(1948), "Rapporto confidenziale" (1955) e "L'infernale Quinlan" (1958). "Macbeth" (1948) e "Othello" (1952) videro infinite versioni (specie il secondo) a causa del perfezionismo dell'autore e della cronica mancanza di fondi che affliggeva le sue produzioni indipendenti. Stessa sorte toccò ai probabili capolavori "Falstaff" e "Don Chisciotte", impigliati in oscure vicende finanziarie e a progetti spettacolari come "Moby Dick" o "Il mercante di Venezia" di cui restano solo provvisori abbozzi. Sopravvivono un gioiello completo come il televisivo "Una storia immortale" (1968) che si giovò della diversa committenza e del basso budget e alcuni esplosivi documentari come "Filming Othello" o il rivoluzionario "F for Fake". Infine l'ultimo incompiuto, "The Other Side of the Wind", che doveva essere letto come il suo testamento americano e che ancor oggi non vede la luce per i litigi tra gli eredi. Come attore poteva essere all'altezza di Marlon Brando, ma si buttò via spesso in operazioni commerciali di secondo livello e non amò mai il suoi personaggio più famoso, il "vilain" Harry Lime de "Il terzo uomo" (1949) per il quale rifiutò una proposta di partecipazione agli utili che l'avrebbe fatto ricco. "Orson Welles - dice il regista Chuck Workman - era veramente un mago, in grado di destreggiarsi fra idee e tecniche complicate e una vita complessa, per creare l'essenza dell'arte. Alcune cose sembrano inconfutabili: era più avanti del suo pubblico, e ancora più avanti dei suoi datori di lavoro. Se sia stato uno dei più grandi cineasti mai vissuti, lo lasciamo decidere al pubblico. Che avesse un talento unico per il cinema e una vita straordinaria non è stato mai messo in discussione". Probabilmente non è un caso che, alla fine della carriera, un titano del cinema come lui, Stanley Kubrick, avesse pensato di ingaggiarlo per la sua ultima opera, "Eyes Wide Shut" (1999). Ma il film fu rimandato e la sua parte andò poi a Sydney Pollack. Lavorare con Welles non sarebbe stato facile nemmeno per l'autore di "Stranamore", ma è certo che i due avrebbero saputo parlare la stessa lingua. Entrambi schivi, seduttivi, manipolatori delle immagini e delle coscienze, professionisti maniacali e inventori instancabili, seppero rivoluzionare il linguaggio e piegare l'arte del ventesimo secolo a direzioni mai tentate prima. In più Welles aggiunse una dote unica: sapeva davvero essere un mago, mostrare l'illusione rendendola credibile e gettava nel fuoco della creazione la sua stessa vita, fedele a un'ansia interiore che non lasciava posto a null'altro che il suo ego e la sua visione di sé e del mondo. A questo sacrificò, più o meno consciamente, il successo a cui pure ambiva, i sentimenti (ebbe tre mogli tra cui l'aristocratica italiana Paola Mori e la divina Rita Hayworth, quattro figli e un'ultima compagna, Oja Kodar), soldi e debiti, fama e nemici mortali. Rinnegato dall'America visse da esule gran parte della vita, si sentì italiano in Italia e spagnolo in Spagna, morì a Hollywood poche ore dopo uno show televisivo in cui, una volta di più, aveva eseguito un gioco d'illusionismo. Contro la sua volontà fu cremato e le sue ceneri stanno oggi in un'hacienda spagnola. Ogni tanto dal nulla compare un suo inedito come l'emozionante "Too Much Johnson" ritrovato di recente dalla Cineteca del Friuli e giunto fino in Italia per vie misteriose. Ma il suo epitaffio più realistico lo scrisse da solo: " Ho avuto più fortuna di chiunque altro. Certo, sono anche stato scalognato più di chiunque altro, nella storia del cinema, ma ciò è nell'ordine delle cose. Dovevo pagare il fatto d'aver avuto, sempre nella storia del cinema, la più grande fortuna...".

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