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Mattarella a Venezia per serata di apertura Mostra del Cinema

Everest, apertura da vertigini a Venezia. Il film di Kormakur ispirato al vero viaggio di due spedizioni

Le ragazzine sdraiate da ore davanti al Palazzo del cinema in trepidante attesa del passaggio di Jake Gyllenhaal, 36 anni, star emergente da un bel po' di anni, almeno dai Segreti di Brockeback Mountain, magari neppure lo sanno. Il loro beniamino ha rischiato su un ponte tibetano lungo la strada della vetta, ha girato a meno 30 gradi, ha vissuto con tutto il cast di Everest in altissima montagna per "avere dalla realtà della natura un'esperienza da restituire sullo schermo". Con Josh Brolin, Jason Clarke, John Wawkes, Emily Watson e il regista islandese Baltasar Kormakur presenta Everest, che apre stasera Venezia alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e poi sarà in sala distribuito da Universal dal 24 settembre. Il film racconta una storia vera - una spedizione nel 1996 finita tragicamente con la morte di cinque scalatori e tre soccorritori - e alcuni dei sopravvissuti della vicenda sono qui alla Mostra del cinema ad accompagnare il film: sono Jane Arnhold (Keira Knightley) con la figlia Sarah che non vide mai il padre, il capo della spedizione interpretato da Jason Clarke, Sarah Hellen la responsabile di quel campo base interpretata nel film da Emily Watson, lo sherpa del '96 Ang Dorje, oltre a David Broeshears che oltre ad essere stato consulente ha anche indirizzato le spettacolari riprese aeree sulla vetta dell'Everest che si vedono nel film.

"Sentivamo una grande responsabilità - ha detto Gyllenhaal - perché sapevamo di raccontare qualcosa di veramente accaduto e la cui ricostruzione avrebbe potuto disturbare le famiglie coinvolte. Questo ci ha predisposto ad un'energia particolare". Il regista ha fatto assaggiare al suo cast hollywoodiano i pericoli della montagna, "non potendoli portare fin lassù a ottomila metri abbiamo comunque ricostruito in parte quella situazione, girando sottozero, soffiando la neve in faccia agli attori, lasciandoli soli in montagna. Puntavo - ha spiegato Kormakur - a fare una storia intima e epica al tempo stesso". Le montagne della Val Senales sono state il loro Everest, mentre a Cinecittà in studio è stato ricostruito l'interno del campo base. "Certe situazioni - ha raccontato Josh Brolin - sono state create ad arte per farci avere paura, indurci ad una piccola guerra di sopravvivenza dentro ognuno di noi". Emily Watson ha avuto la possibilità di parlare con Sarah Hellen, "è stata generosa nel raccontarmi quella vicenda che l'ha segnata. Mi piacere recitare ruoli di persone vere perché io cerco di 'vivere' i miei personaggi. E sul set sentivamo di essere parte di un coro emotivo". Interrogarsi sul significato di scalare l'Everest sapendo i rischi che questo comporta "significa misurarsi con il tema delle nostre ambizioni e con la volontà di ciascuno di realizzare i propri sogni anche quelli impossibili", ha detto Baltasar Kormakur che ha scelto di smarcarsi dai tanti racconti su questa storia vera.

"Sono tanti i libri scritti da chi è tornato, come Left for dead di Beck Wathers che ebbe congelati arti inferiori e naso, Aria Sottile di Scott Fischer, The Climb della guida russa Boukreev, ma ciascuno racconta la sua storia, il punto di vista personale. A me invece interessava ricostruire la storia di questo gruppo". Nel film sono accennate e non considerate le polemiche che seguirono alla tragica spedizione: la 'commercializzazione dell'Everest' con le imprese a farsi concorrenza e il comportamento delle guide. Alle imprese kolossal Kormakur ha preso gusto

IL TRAILER

Da segnalare una pregevole infografica del Washington Post.

MESSNER: NEL FILM LA RICOSTRUZIONE E' PARZIALE - "Il film Everest ricostruisce la tragedia del 1996 in modo parziale: quella non fu solo disgrazia". E' il celebre alpinista Reinhold Messner ad esprimere questo parere al settimanale 'Oggi', in edicola domani riguardo al film Everest, che apre domani la Mostra del cinema di Venezia.

"Conosco la tragedia del 1996 - prosegue Messner - ma parlando con uno dei produttori ho capito che viene ricostruita in modo parziale. Il film è basato su un aspetto emozionale. Ma la tragedia del 1996 non fu una semplice disgrazia. È accaduta perché due bravissime guide a un certo punto hanno deciso di diventare imprenditori del settore turistico. Rob Hall e Scott Fischer erano in competizione tra loro per chi riusciva a portare più gente in cima all'Everest. Dovevano porsi obiettivi più ragionevoli. Sull'Everest porti qualcuno, non decine di persone alla volta. Per far salire gente impreparata - precisa il campione - Rob Hall e Scott Fischer hanno fatto ricorso a tutte le loro risorse fino a esaurirle. Erano sfiniti. Sono morti loro e gli altri, senza un'idea di cosa fare, hanno fatto la stessa fine".

Quanto al controverso "turismo degli Ottomila" Messner rivela di essere stato "forse il primo a cui è stato richiesto. Tanti anni fa". "Un americano - ricorda - proprietario di una linea aerea, mi chiese di portarlo sull'Everest. Era un alpinista, aveva già guidato una spedizione sull'Everest, però non era riuscito a raggiungere la cima. Voleva arrivarci a tutti i costi e ha chiesto a me di accompagnarlo. Ho rifiutato. L'americano è arrivato a offrirmi il 10 per cento della sua compagnia. Ma non sono andato". "Oggi, purtroppo - conclude Messner - si fa una gran confusione. Non si capisce che l'alpinismo è una cosa, sport e turismo un'altra".

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