C'è un filo sottile, forse ideale
o forse solo casuale, che sembra accomunare a metà del secolo
scorso le "storie" di Osvaldo Licini, l'artista-poeta solitario
radicato al suo paese nelle Marche, Monte Vidon Corrado, e Peggy
Guggenheim, collezionista-mecenate statunitense che portò e fece
conoscere in Italia, con il suo arrivo a Venezia, le nuove
avanguardie d'oltreoceano, Pollock su tutti. Licini uscì da un
lungo isolamento per partecipare con due opere alla Biennale di
Venezia del 1948, la prima dopo la guerra; Peggy lo stesso anno
sbarcava in laguna, 'invadendo' il padiglione greco della
Biennale con i suoi artisti. Parte anche da queste suggestioni
la mostra dedicata all'artista marchigiano (dal 22 settembre al
14 gennaio 2019), un nuovo capitolo dello 'scavo' nell'arte
italiana, a cavallo fra le due guerre e fino agli inizi degli
anni '60, portato avanti da Luca Massimo Barbero nelle sale
della collezione Peggy Guggenheim, a Venezia.
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