Nato a Treviso nel 1943 (dove la
famiglia era sfollata) viene mandato in collegio a Milano al San
Celso. Poi in Svizzera si diploma all'Accademia di Belle Arti di
Sion. Nel 1968-69 partecipa alla contestazione della Triennale
di Milano e della Biennale veneziana. Nel 1972 proprio alla
Biennale viene esposta la sua 'Macchina per la tortura'. "Nella
Milano di quei giorni il clima era molto pesante. La polizia
cominciò a seguirlo, era un contestatore - ricorda Michela -
Alcuni artisti si rinchiusero in una galleria per giorni e si
disse che avevano fatto uso di droghe pesanti, fu allora che lo
presero". Arrestato nel 1975, nei pressi del bar Giamaica in
Brera, il quartiere degli artisti milanesi, viene rinchiuso nel
manicomio di Aversa negli anni in cui erano rinchiusi cutoliani
e giovani legati al terrorismo, negli anni delle rivolte che
hanno portato alla luce quello che succedeva in quell'ospedale
psichiatrico che si meritò l'appellativo di 'lager'. "Anche lui
aveva subito violenze enormi" racconta Michela e quando esce
Vincenzo porta i segni degli elettroshock, il ritorno in
famiglia non basta a ritrovare la serenità, "era ormai una
persona senza età, vuoto e disperato" e muore per overdose a
Roma a soli 35 anni.
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