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Riaprono le stanze della principessa Barberini

Da domani, visite guidate nella reggia oggi Galleria Arte Antica

   Una donna dotta e caparbia. Di gusto raffinato, devota, ma anche amante del ricevere. Così era la principessa Cornelia Costanza Barberini (1716-1796) e così ancora oggi la raccontano i suoi settecenteschi appartamenti privati nella reggia di Palazzo Barberini a Roma, che da domani, e ogni primo sabato del mese, tornano a mostrarsi al pubblico dopo anni di chiusura e un accurato lavoro di restauro (visite guidate su prenotazione).
Ultima erede del casato, la principessa Costanza, che ancora oggi vigila in un piccolo busto all'ingresso, li scelse e arredò tra il 1750 e il 1770 al secondo piano del Palazzo oggi Galleria Nazionale d'Arte antica, lontano cioè dai fastosi saloni barocchi del piano nobile ma con una accesso diretto al celebre scalone disegnato dal Borromini, all'indomani delle nozze con Giulio Cesare Colonna di Sciarra, volute nel 1728 per rafforzare il declinante potere di famiglia. Abitati dai suoi eredi fino al 1955 e rimasti miracolosamente intatti, gli appartamenti incarnano così il gusto di una donna colta e attenta alle novità dell'epoca, celebrando insieme il trionfo delle due famiglie. Cuore delle stanze è la Sala delle Battaglie, con alle pareti 13 tele di artisti della scuola romana, tra cui Domenico Corvi e Nicolò Ricciolini, che immortalarono alla Storia le gesta degli avi dei padroni di casa, da Papa Urbano VIII (al secolo Maffeo Barberini, colui che fece costruire il palazzo nel 1628) che consegna a Francesco Colonna il principato di Palestrina a Stefano Colonna che difende Clemente VII dall'assedio a Castel Sant'Angelo fino a Prospero Colonna nella battaglia della Bicocca. Sul soffitto, i quattro continenti impersonificati da altrettante donne, circondati dalle allegorie dei quattro elementi, forse a firma di Felice Balboni, pittore di fiducia di Costanza.
Tutto intorno la principessa moltiplicò gli ambienti con dei tramezzi così da ottenere più vani e soprattutto renderli più intimi e raccolti, in una ripetuta alternanza tra esigenza di rappresentanza e privacy.
Gli ospiti che andavano a farle visita potevano attendere nel fumoir della Stanza delle Marine, con le grandi vedute di scuola napoletana. E magari esser tanto fortunati da incontrarla nella Sala delle sete dipinte, quella oggi più interessata dai restauri, chiamata così per le tappezzerie che rivestono le pareti con scene di vita degli indiani d'America. O nella Galleria d'angolo, dove il verde dei giardini, che dalle finestre del palazzo si perdeva fino a via XX settembre, si moltiplica ancora sulle pareti in un tripudio di fiori e piante.
Ma il gusto per il particolare della principessa riveste ogni angolo dei suoi appartamenti, tra specchi e sovrapporte, grottesche che scendono dai soffitti, pitture su vetro con episodi dell'antico testamento, stipiti in legno ed ebano di tartaruga, elementi rococò accostanti a piccoli bassorilievi di gusto decisamente neoclassico, in un continuo rimando ai simboli di famiglia, le api e l'alloro. Riservata agli sposi (sebbene il principe avesse due stanze dall'altra parte del palazzo) era l'alcova mentre il salotto-cappella tutto azzurro e oro e con un ''pregadio'' per la principessa, vantava anche un altare ligneo ''a scomparsa'': bastava chiudere due ante per nasconderlo agli occhi degli ospiti e trasformare l'ambiente in un semplice salotto, proprio come nelle case signorili dell'epoca. Non sempre infatti qui tutto è ciò che sembra e Costanza giocò molto con muri che celavano porte e passaggi segreti, mobili a scomparsa e piccoli vani per nascondersi. Fino alla camera da pranzo, tutta in verde, dove l'occhio s'inganna tra finti specchi in trompe l'oeil e credenze girevoli che ''magicamente'' lasciavano apparire vini e bevande.

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