Un film che nessuno voleva fare, che alla fine ebbe un budget ridicolo (‘Se riesci a fartelo bastare…’ gli dissero), con un protagonista che al regista non piaceva e con un ‘cattivo’ scelto per errore: è così che ‘Il braccio violento della legge’ di William Friedkin – un tipo che ha fatto quasi soltanto film-pietre miliari, da ‘Festa per il compleanno del caro amico Harold’, il primo a trattare il tema dell’omosessualità, all’’Esorcista’, che ha ridisegnato i confini dell’horror ed è stato un successo planetario – è diventato un film culto da cinque Oscar (tra cui miglior regia e migliore attore protagonista) che ha cambiato il volto del poliziesco.
Sempre guardie e ladri, certo, ma senza confini netti tra bene e male, senza alcun riscatto, senza nemmeno l’ombra di quel romanticismo che aveva caratterizzato tante storie di detective dalla vita non irreprensibile, immerso nello scetticismo più assoluto e girato con uno stile semi-documentaristico che da allora diede un’impronta diversa anche a questo tipo di film (quando i protagonisti passano ore in strada a piantonare qualcuno e li vedi stroppicciarsi le mani e sbuffare vapore dalla bocca, senti freddo anche tu). Senza contare che oggi la cancel culture lo farebbe letteralmente a pezzi.
E poi c’è lei: probabilmente la scena di inseguimento più famosa della storia del cinema. Anche per un particolare non da poco: non è tra due auto ma tra un’auto e una metropolitana.
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