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>>>ANSA/ Biennale Architettura, 'L'Immaginazione non ha genere'

Curatrici Farrel e McNamara, 'Tante donne? Erano le migliori'

(dell'Inviata Silvia Lambertucci) (ANSA) VENEZIA, 23 MAG - "Siamo architetti, non curatrici".
    In rigoroso bianco e nero, non un filo di trucco, neanche l'ombra dei gioielli scultura e del glamour colorato di un'archistar come lo è stata per esempio l'angloiraniana Zaha Hadid, Yvonne Farrel e Shelley McNamara , le dublinesi che firmano la Biennale di Architettura 2018 (aperta a Venezia dal 26 maggio al 25 novembre) esordiscono così davanti alla stampa mondiale che le sottopone a un fuoco di fila di domande sul loro lavoro. Unite e solidali rivendicano un ruolo "del fare" nel mondo dell'architettura, una prospettiva da artigiane della professione abituate a confrontarsi con i problemi reali del territorio e della committenza. Ed è da questa prospettiva, raccontano che hanno immaginato la mostra anticipata da un manifesto e dedicata al Freespace, lo spazio libero che deve essere di tutti, e anche interpretare, dicono, le esigenze di tutti.
    Un rigore che si conferma quando qualcuno torna a solleticarle sul tema donne e architettura e chiede se è stata una scelta la presenza di tante donne fra i 71 progettisti invitati.
    "Semplicemente abbiamo selezionato i migliori", risponde secca McNamara. "L'immaginazione non è questione di genere", le fa eco Farrell. Certo il tema della discriminazione esiste, ammettono, "Ma nella nostra esperienza non c'è stata, mai incontrato ostacoli".
    Piuttosto, da architetti abituati a confrontarsi con la crisi economica, preferiscono sottolineare che "c'è un problema più generale di accesso alla professione. Un problema vivo e reale che tocca tutti, riguarda i giovani e che non risparmia gli anziani". Niente depressione però, "l'architettura è una disciplina difficile, ma di grande ottimismo". Ed è così che raccontano il bakstage di questa biennale 2018, preceduta da "tanto lavoro di ricerca, discussioni con i colleghi, consigli di amici stimati", fino alla scelta, rigorosamente legata alla loro impostazione di fondo: "Fare una mostra che parlasse a tutti, anche ai non architetti, perché l'architettura è veramente una cosa che tocca la vita di tutti". Per questo deve ascoltare, "essere generosa" ripetono, "interpretare i desideri non espressi dagli individui", "creare un desiderio di architettura" e tenere presente la responsabilità nei confronti del mondo, della natura, del presente e e del futuro, "la società diventa grande se tutti piantiamo degli alberi anche sapendo che non arriveremo personalmente a godere della loro ombra". Il parallelo con il mondo rurale ritorna più volte: "Oggi ci sentiamo come contadini al tempo del raccolto", sorridono. L'idea è stata quella di riunire "molte culture diverse sotto lo stesso tetto", raccontano. E di partire dalla scoperta degli spazi offerti dalla Biennale, "edifici che nella nostra mostra sono protagonisti, perché l'architettura non è una disciplina lineare, è piuttosto una spirale, c'è un continuo confronto e dialogo con la storia". Si è voluto celebrare la capacità di fare, dicono citando il meraviglioso pavimento di piastrelle artigianali (Un progetto che viene da Liverpool) che accoglie il visitatore all'entrata del Padiglione centrale, nella sala Cini.
    Riscoprire i materiali ("L'architettura è fatta di materiali") e celebrare gli spazi, perché "il linguaggio di architettura significa fare spazio". Una definizione che una volta di più segna una distanza dall'epoca delle archistar, delle sfide a colpi di grattacieli sempre più alti, degli edifici monumenti di se stessi. Farrel e McNamara vengono da un altro pianeta, da un altro modo di fare architettura. E lo dicono con chiarezza: "Pensarci come creatori di spazi ci libera in qualche modo da pensarci come creatori di oggetti".
   

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