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Zina Hamu, io Yazida rinata con il giornalismo

Al Festival di Perugia il progetto Unicef per giovani sfollate

Il giornalismo ci ha dato una nuova speranza di vita, ci ha dato una voce che può essere sentita in modo potente in tutto il mondo. Io porto con me la voce di una nazione che vuole vivere in pace e mandare un messaggio di giustizia". Sono le parole di Zina Hamu, che nel fotogiornalismo ha trovato uno strumento per cambiare il percorso della propria esistenza e sollevare la voce del dolore della sua comunità perseguitata. La minoranza yazida, che viveva principalmente nel distretto di Sinjar nel Kurdistan iracheno, è diventata vittima dei terroristi dopo l'ascesa dello Stato islamico e la guerra nella regione. Nel 2014, a 18 anni, per sfuggire all'Isis, Zina è approdata nel campo profughi di Khankem nel Kurdistan. Al Festival del giornalismo, ha raccontato la sua esperienza in un incontro con Shayda Hessami, che ha fondato e dirige il progetto Unicef Photographic techniques to empower Yazidi girls, volto a rafforzare la condizione delle donne yazide sopravvissute alla schiavitù dello Stato Islamico nel campo rifugiati di Khanke. Insieme a loro a Perugia Andrea Iacomini, portavoce Unicef Italia, e il direttore dell'ANSA, Luigi Contu. "Vengo dal nord dell'Iraq, dove conducevo una vita semplice con la mia famiglia e gli amici - ha raccontato commossa Zina -. Volevo diventare medico, ma a 18 anni tutto è cambiato. Mio padre è morto e ho potuto vedere la sua tomba solo una volta, perché una settimana dopo l'Isis ha attaccato la mia città. Gli yazidi hanno subito tante persecuzioni, ma questa è stata terribile. Ero a letto, sentivo rumori e grida. Mia madre ci ha svegliato, abbiamo raccolto cibo e acqua alla svelta. Eravamo confuse e spaventate. Siamo scappati con i miei fratelli sulle montagne. C'era una donna sul ciglio della strada che piangeva perché la figlia era stata catturata. Dopo due giorni con grande fatica, senza acqua ne cibo, siamo saliti sulla montagna. Sentivo i racconti che venivano dalla città: gli uomini venivano uccisi, i bambini morivano di fame e sete. Ricordo quando siamo stati fortunati a trovare un albero di fico, ma le madri non riuscivano a prenderli. Abbiamo trascorso 11 giorni nella paura dell'Isis. Poi siamo stati caricati su un camion per arrivare nel campo profughi". Lì Zina ha iniziato una nuova vita con altre ragazze come lei, grazie al progetto di Shayda Hessami, che dopo l'incontro con Zina ha deciso di avviare il corso di fotogiornalismo per le donne yazide. "L'obiettivo è creare un collegamento diretto tra loro e il resto del mondo - ha spiegato -. Mostrare l'esperienza di una nazione attraverso gli occhi delle donne. Il fotogiornalismo è un misto di arte e giornalismo. Attraverso questo vogliamo ridare sicurezza a queste ragazze, la possibilità di riconciliarsi con il mondo". Zina Hamu ha voluto ringraziare l'Unicef e l'ANSA che le ha dato la possibilità di raccontare la sua esperienza, anche in passato, in Italia. "Zina ci dà una grande lezione - ha detto Contu -. Ha un passato pesantissimo ma guarda al futuro. Il fatto che abbia trovato nel giornalismo il coraggio di raccontarsi dà speranza anche alla nostra professione. Per questo continueremo a darle voce".

Il convegno Il giornalismo che "libera" le donne nelle zone di conflitto: la testimonianza delle attiviste Yazide con il direttore dell'ANSA Luigi Contu (VIDEO). Lo scorso anno le stesse attiviste furono ospiti dell'Agenzia di stampa.

 

 

 

 

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