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Baratta, mercato?Sì se libero scambio fiducia

Baratta, mercato?Sì se libero scambio fiducia

Migliaia persone a vernice 'All the Word's Futures' di Enwezor

VENEZIA, 07 maggio 2015, 18:03

Roberto Nardi

ANSACheck

Okwui Enwezor, Paolo Baratta © ANSA/AP

Okwui Enwezor, Paolo Baratta © ANSA/AP
Okwui Enwezor, Paolo Baratta © ANSA/AP

   Crisi? Tensioni dell'arte di fronte all'angoscia di un presente che non si interroga? Politica? Sì, gli interrogativi per cercare un filo a 'Tutti i futuri del mondo" declinati in inglese ci sono tutti, ma puntuale arriva la domandina: "e il mercato?". Da tempo, Paolo Baratta, presidente della Biennale di Venezia, ripete che "è fuori dal nostro registro" e oggi, nella conferenza stampa che ha aperto i tre giorni della vernice della 56. esposizione internazionale d'arte, tra metafore e frasi secche, ripete il concetto. "Il mercato è luogo dello scambio - dice -, se è culturale allora sì siamo mercato per un libero scambio di fiducia".
    L'altro no! "quello dove si scambiano cose con il denaro" non è nelle corde di una realtà che ha 120 anni di storia alle spalle e che anche dalla lettura della propria storia trova linfa per "guardare al futuro". Per chi non avesse capito, Baratta offre un'immagine: "è il mistero dell'arte della creazione dell'opera che deve essere indagato dalla Biennale. Non vogliamo sapere dove poi va a finire". Certo è che il palcoscenico della qualità di Venezia per tanti è stato un trampolino di lancio, compresi tanti zeri nelle quotazioni e non può essere un caso se il mondo che conta nel settore si aggira tra i Giardini e l'Arsenale.
    Il presidente risponde con calma alle domande e nel suo volto si legge una certa soddisfazione. Di buon mattino, dopo la pre-vernice di ieri, con la rassegna stampa; già nella tarda mattinata con i viali dei Giardini e gli articolati spazi dell'Arsenale percorsi da migliaia di persone. Non è ancora il 'popolo degli zainetti' - oggetti usati per una installazione nell'area dell'Arena - ma la 'risposta' del mondo che ruota attorno all'arte pare quantomai positiva. Enwezor dice che oltre che con le opere - 136 gli artisti invitati, di cui 89 per la prima volta - i visitatori dovranno fare i conti con "una mostra pena di suoni", voluto disturbo allo scopo di portarli "a trovare un senso di equilibrio", all'interno di una rassegna che ha nella complessità, nella "molteplicità di narrazioni", alcuni dei suoi punti di forza.
    Neanche il percorso alle Corderie dell'Arsenale - infinita infilata di spazi suddivisi da colonne centrali - è lineare.
    L'immagine è quella di "una serie di flussi" che accolgono opere "multidisciplinari": dalla performance al disegno, passando per tutte le altre forme possibili.
    Anche il curatore, il primo di origini africane - ma "come succede nel mondo ci sono sempre delle prime volte" - non manca di sottolineare quell'aura mitologica che avvolge la Biennale, che la pone aldilà della spettacolarizzazione e del denaro che fa parte di un certo sistema dell'arte. Ricorda, parlando di "All the World's Futures", l'importante funzione della parola, dell'Arena - "sistema nervoso centrale della mostra" dice -, del privilegio "di far parte di quel club esclusivo", composto da una trentina di persone, che in oltre un secolo ha firmato 56 mostre d'arte. Intanto, dal 'verbo' del racconto si passa alla visione reale e le sale del padiglione Centrale - con la forza dirompente di Fabio Mauri a fare da 'padrone di casa' nella sala ottogonale all'ingresso, prima di un Boltanski da pugno nello stomaco e un albero di Robert Smithson di grande fascino - si riempiono di spettatori. All'arsenale ci sono i neon di Bruce Nauman, con scritte tipo 'war', ad accogliere la frotta di invitati, chiamati ad arrivare fino alla fine di un percorso che da il senso che certe tematiche non hanno tempo, vedi la serie di foto del 1865 di lavoratrici del Sud del Galles poste di fronte a un juck-box. Sotto un sole che scalda, si alzano i calici davanti ai padiglioni nazionali dove si susseguono le inaugurazioni, ci si riposa seduti sui piedistalli neri che fanno da base alle statue candide lungo il viale che porta al padiglione della Gran Bretagna. Telefonini e macchine fotografiche sono ad altezza occhi per cogliere la bellezza di un arte che dà voce ai drammi e ai rumori del mondo o l'eccentricità di qualche visitatore o 'artista' che gira con la seduta di un Wc al collo con scritte "d'arte".
   

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