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Mostre: Azimut/h, Castellani-Manzoni al Guggenheim

Venezia, esperienza neoavanguardia a cavallo fra i '50 e i '60

"E' del 1959": dice Luca Massimo Barbero davanti a un'opera di Lucio Fontana. Il curatore di 'Azimut/h Continuità e nuovo', nelle sale della Peggy Guggenheim, a Venezia, mette l'accento in più occasioni sulla data dei lavori presenti in mostra. Sì, perché l'esposizione, una sorta di 'biopsia' gioiosa su un attimo felice dell'arte italiana del dopoguerra, si gioca tutta sugli 11 mesi di vita, a cavallo tra il '59 e il febbraio del '60, della galleria creata a Milano da Enrico Castellani e Piero Manzoni, 'Azimuth', e della rivista fondata dagli stessi artisti dal nome simile ma senza 'h' finale.

Sono anni di neoavanguardie, di sperimentazioni, di rapporti intensi con il nuovo che sta germogliando a livello internazionale; il tutto, sotto l'occhio attento dello stesso Fontana. E' Fontana ad acquistare la prima 'linea d'artista' di Manzoni e altre sue opere; è lui ad aprire la mostra con un lavoro del '58 con alcuni tagli e le scritte sui due versi 'io sono un santo' 'io sono una carogna', ad annunciare la stagione dei 'concetti spaziali'.

Il percorso espositivo si sviluppa in sei sale e la prima è ad alta densità 'filologica' e temporale con lavori di Rauschenberg, Johns, Tinguely, un monocromo blu di Klein -un ex voto per Santa Maria da Cascia -, Burri. Artisti a cui la rivista dedicò spazio ed attenzione. Una sala d'apertura che è una sorta di 'sunto' allo sviluppo delle successive: ora riservate ai protagonisti-ideatori dell'esperienza galleria-rivista - Manzoni nelle sue più diverse espressioni, dagli Achrome alle Merde d'artista, o alle superfici a sviluppo architettonico di Castellani -; ora al rapporto con artisti di quella stagione - come Bonalumi o Dadamaino.

Non ultimo l'altro spunto di riflessione offerto al pubblico, con artisti internazionali 'interlocutori' del dialogo di 'Azimut/h' con il mondo, con opere acquisite anche dalla stessa Peggy Guggenheim sotto la voce 'ricerche visive' Uecker e Mack). Una gamma di nomi ampia che va dalla Padova di Alberto Biasi, alla Francia di Francois Morellet, al nord Europa di Schoonoven L'ultima sala è tutta ancora all'insegna del duo Manzoni-Castellani, con un'opera che per quest'ultimo arriva a metà degli anni '60, segno di quel 'continuità e nuovo' che fa da sottotitolo alla rassegna, aperta fino al 19 gennaio prossimo.

    A dare un forte segno della ricerca intrapresa da tempo dalla collezione intitolata alla mecenate statunitense, il ricco catalogo curato dallo stesso Barbaro, edito da Marsilio. 

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