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Gabo e il cinema, amore di una vita

Gabo e il cinema, amore di una vita

A 27 anni al Centro sperimentale,poi il legame con Rosi e Newell

ROMA, 18 aprile 2014, 14:34

di Giorgio Gosetti

ANSACheck

Morto Gabriel Garcia Marquez - RIPRODUZIONE RISERVATA

Morto Gabriel Garcia Marquez - RIPRODUZIONE RISERVATA
Morto Gabriel Garcia Marquez - RIPRODUZIONE RISERVATA

   Tutto comincia a Roma, nel 1954: le giornate trascorse su Via Tuscolana, tra la Cineteca Nazionale e gli Studi di Cinecittà, marcheranno per sempre la vita e la creatività di Gabriel Garcia Marquez, scrittore mondiale, cittadino del mondo, cinefilo per passione, morto ieri a 87 anni.

    A Roma Gabo arriva dopo anni errabondi trascorsi come cronista e opinionista tra Barranquilla, Cartagena, Bogotà dove viene "adottato" artisticamente da Alvaro Mutis. Il viaggio in Europa dovrebbe essere quello tipico, di formazione, per un ventisettenne inquieto e in cerca di stimoli culturali lontano da una patria tanto amata quanto esecrata per le pulsioni illiberali contro cui Marquez si batte fin da giovanissimo. In realtà a Roma si trattiene quasi un anno, seguendo i corsi del Centro Sperimentale di Cinematografia che traggono impulso dalla lezione di Cesare Zavattini e gli regalano l'esperienza "dal vivo" della poetica neorealista. L'autore di "Cent'anni di solitudine" non mancherà mai di narrare la sua scoperta del mondo attraverso gli occhi di autori come De Sica, Rossellini, De Santis e l'amicizia con i cineasti più appassionati della sua generazione, da Carlo Lizzani a Gillo Pontecorvo, da Francesco Rosi a Franco Solinas.

    Strano a dirsi, la familiarità con la scrittura per immagini e con la tecnica dell'inquadratura si tradurranno solo raramente in un impegno diretto dietro la macchina da presa e nell'esercizio della sceneggiatura. Se non avrà soddisfazione diretta dal cinema, sarà proprio nella formazione al cinema che dedicherà le sue migliori energie di "maestro". Quando scoprirà la Cuba di Fidel Castro e del Che alla fine degli anni '50, sarà proprio in quell'isola, definita "dell'utopia possibile" che sognerà di riportare l'esperienza fatta al Centro Sperimentale.

    Fino agli ultimi anni del ventesimo secolo contribuirà infatti alla scuola di cinema de La Havana, spendendosi in appassionati seminari con giovani studenti, tenendo corsi di scrittura per immagini, accompagnando il talento emergente di un'intera generazione di cineasti sudamericani.

    Nelle filmografie ufficiali, il nome di Gabo Marquez figura 54 volte, a cominciare dal cortometraggio "La langusta azul" che scrisse e diresse nel fatidico 1954. L'esperienza italiana lo portò più o meno indirettamente a collaborare con registi sudamericani per tutti gli anni '60 e '70, fino a concedere i diritti di adattamento del suo capolavoro, "Cent'anni di solitudine" a un autore giapponese, Shuji Terayama, nel 1984 per "Saraba Hakobune".

    A una versione cinematografica dell'universo del Premio Nobel si dedica invece l'amico Francesco Rosi nel 1987 firmando una "Cronaca di una morte annunciata" che Marquez segue da lontano ma con passione. Il film è uno degli ultimi esempi dell'anima "internazionalista" del cinema italiano e Rosi trasforma il romanzo in un colorato melodramma sulla solitudine. Nel 1993 il giovane regista cinese Shaohong Li ne farà un fiammeggiante remake di sorprendente fedeltà nell'opera "Xuese Qingchen" che scompare però presto dalle sale per problemi di censura.

    Negli stessi anni sono numerosi gli adattamenti da sue storie e romanzi, spesso per la televisione, ma il grande cinema torna a fregiarsi del nome di Marquez nel 1999, quando un altro "visionario" di talento come il messicano Arturo Ripstein si innamora del romanzo "Nessuno scrive al colonnello" e lo adatta per il grande schermo in una coproduzione internazionale con Marisa Paredes e Salma Hayek. In questo film la formazione bunueliana di Ripstein (che del regista spagnolo era stato allievo e collaboratore) si incrocia con lo stile personalissimo di Marquez producendo forse il miglior risultato cinematografico dai suoi romanzi. Il che non si può dire per il successivo "L'amore ai tempi del colera" dell'inglese Mike Newell che, nel 2007, si limita a cogliere la suggestione superficiale delle pagine di Marquez in un patinato melodramma impreziosito da attori molto diversi da Javier Bardem a Giovanna Mezzogiorno, Benjamin Bratt, Liev Schreiber.

    Più interessanti risultano i tentativi di "padrinato" artistico, tradotti negli sforzi creativi di giovani autori colombiani e messicani, i due paesi in cui Marquez tentò, fino all'ultimo, di suscitare la creatività tra parola e immagine con corsi e lezioni indimenticabili dedicate a un'ideale scuola di cinema. Un titolo per tutti, "Lecciones para un beso" di Juan Pablo Bustamante che lo scrittore firmò come "script doctor" ancora nel 2011.

    Per vedere Gabo Marquez sul grande schermo bisogna invece frugare in pellicole davvero poco note: "In questo villaggio non ci sono ladri" di Alberto Isaac (1965) in cui compare come il "Boletero Cine" tra autori come Luis Bunuel e Arturo Ripstein; "Maria del mio cuore" di Jaime Humberto Hermosillo (1979); il bel documentario "My Macondo" diretto nel 1990 da Dan Weldon e un paio di video-ritratti in cui si fece coinvolgere a vario titolo.
   

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