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DAGLI ARCHIVI DELL'ANSA - Borrelli e l'appello a 'Resistere' del 2002

12 gennaio 2002, l'ultimo discorso di apertura dell'anno giudiziario a Milano

 "Resistere, resistere, resistere come su una irrinunciabile linea del Piave". Con questa esortazione - scandita con voce ferma, guardando la platea - l'allora procuratore generale di Milano Francesco Saverio Borrelli concluse il 12 gennaio del 2002 la sua ultima relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario. Un appello all'opinione pubblica e non solo ai magistrati che in molti, in un'assemblea tesissima, assistevano al discorso nell'aula magna del Palazzo di giustizia in toga nera, la forma di protesta indicata dall'Anm, sottolineando i passaggi più duri con vere ovazioni. L'Italia a cui Borrelli si rivolgeva era quella dell'avvio - dopo le elezioni del 2001 stravinte dal Polo delle Libertà - del secondo governo Berlusconi con An di Fini, la Lega di Bossi e i centristi di Casini. Ministro della Giustizia il leghista Roberto Castelli che avviava le riforme chieste dal Cavaliere, a cominciare dalla separazione delle carriere dei magistrati e dalla possibilità di sottoporre il pm al controllo del governo. Il giorno prima il Pg della Cassazione Francesco Favara aveva fatto aperture cui Borrelli si opponeva. Presidente della Repubblica era dal 1999 Carlo Azeglio Ciampi. Durante l'intervento del Procuratore di Milano, durissimo contro le riforma proposte dalla nuova maggioranza, i tre esponenti di Fi (Fabrizio Cicchitto, Alberto De Luca e Fabio Minoli) lasciarono la sala per protesta. Ecco i passaggi principali di quel discorso, simbolo dei 47 anni di Borrelli in magistratura.

RESISTERE, TRE VOLTE - "Ai guasti di un pericoloso sgretolamento della volontà generale, al naufragio della coscienza civica nella perdita del senso del diritto, ultimo, estremo baluardo della questione morale, è dovere della collettività resistere, resistere, resistere, come su una irrinunciabile linea del Piave", disse Borrelli. Poi la denuncia delle campagne di "rabbiosa informazione" e gli "imbonimenti" televisivi contro i giudici, "la voluta ignoranza di autorevoli firme del giornalismo per poter demonizzare questo o quel magistrato o collegio giudicante".

IL NO ALLE RIFORME DI BERLUSCONI - "Dopo aver attraversato una stagione di incisivi cambiamenti ordinamentali e processuali, il sistema avrebbe bisogno semmai di una fase di assestamento ermeneutico e non del preannunzio di ulteriori scosse telluriche". "Le riforme annunciate, meglio minacciate con trasparenti intenti punitivi verso una magistratura certamente non al massimo dell'efficienza, ma altrettanto certamente indipendente, ben poco hanno a che fare con l'efficienza". Alla fine il passaggio contro il capo degli ispettori di Via Arenula inviato dal Guardasigilli a Milano, Giovanni Schiavon: "Questa figura non la conoscevamo, abbiamo imparato a conoscerla all'epoca infausta del ministro Mancuso".

LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE - "Si parla di separazione delle carriere, più blandamente, ma ingannevolmente, delle funzioni. Come se le funzioni tra giudicante e requirente non fossero già divise". "Una scelta che, se motivata dalla temuta arrendevolezza dei giudici ai pm dovrebbe almeno essere supportata da studi sul campo e da monitoraggi. Se motivata invece dall'intenzione di vincolare il pm all'esecutivo, come con ingenua imprudenza si è fatto capire in Parlamento, vulnererebbe indirettamente la stessa indipendenza del giudice penale e la signoria della legge".

LE VERE CAUSE - La giustizia ha bisogno di interventi nella macchina, "ma le vere cause delle modalità di funzionamento, o di disfunzionamento, della macchina risiedono spesso all'esterno e forse occorrerebbe chiedere a economisti e sociologi se la miastenia della giustizia, in quanto persistente, non sia per avventura funzionale a determinati interessi e a quali". La macchina giudiziaria va modernizzata, "purché, per le mani di chierici di recente ordinazione, non scivoli verso concezioni aziendalistiche e produttivistiche che con la giustizia, come con l'insegnamento, come con la sanità pubblica, ben poco hanno da spartire".

PROCESSO SME - Borrelli parlò anche, senza citarlo, del processo Sme, oggetto in quei giorni della polemica più aspra, che riguardava lo stesso Berlusconi e il suo legale poi senatore Cesare Previti: "Un moderno codice deontologico dovrebbe sanzionare come oltraggio alla giustizia ogni esercizio di diritti all'interno del processo, che abbia come unico scopo quello di nuocere e recare ritardo al processo stesso: e mi astengo dal citare esempi, pur clamorosi, offerti da esperienze in corso. Che dire poi - aggiunse a braccio - di autorevoli interventi esterni per sabotare il processo...". ROGATORIE - Uno degli affondi più duri sulla lotta al crimine transnazionale: "Si e' tentato per fortuna con mezzi tecnicamente inidonei, di frapporre ostacoli, con la legge sulle rogatorie e con le riserve unilaterali all'estradizione esemplificata - alias mandato di arresto europeo - e l'orchestrazione di campagne di rabbiosa disinformazione".

SCORTE AI MAGISTRATI - "Guarda caso - disse Borrelli - le scorte sono state tolte proprio a quelli che per caso sono messi lì a sostenere l'accusa al capo del governo".

LE CITAZIONI - "Qualcuno ha rievocato recentemente il 'pretore rosso' di fascistica memoria, del quale parlava il mio maestro Piero Calamandrei nell'Elogio dei giudici, ma già Adamo Smith, 150 anni prima, osservava che chi contrasta gli affaristi legati al potere politico si espone ad accuse infamanti, ingiurie e minacce".

LA 'REINVENZIONE' DELLA STORIA GIUDIZIARIA - Ad essa si assiste "quando pacchi interi di sentenze di condanna, spesso patteggiate a seguito di confessione, vengono attribuiti ad una guerra civile condotta da magistrati contro elites politiche della Prima Repubblica affossatesi in realtà da sole, tra l'esecrazione anche di molti odierni convertiti, nelle sabbie mobili della corruzione più sfacciata'.

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