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Lo strano destino del compagno Occhetto "Pensieri di un ottuagenario"

"Pensieri di un ottuagenario", filosofia e accenti grillini

Achille Occhetto se ne intende di capi carismatici. Entrò nel Pci quando ancora c'era Togliatti ed è stato nella segreteria di Enrico Berlinguer. Capitò anche a lui di prendere lo scettro di quella sorta di monarchia elettiva che era il partito delle Botteghe Oscure. Strano destino quello del compagno Occhetto: l'uomo che all'indomani della caduta del muro di Berlino fece cambiare pelle e nome al Pci, che convinse milioni di militanti "fedeli alla linea" ad abbandonare la mitologia marxista e a scegliere definitivamente il campo occidentale, lo stratega che con l'appoggio al referendum maggioritario di Mario Segni aprì la strada alla democrazia dell'alternanza, esaurito il suo compito si ritrovò avvolto da una nebbia sempre più fitta, fu messo ai margini dall'allora giovane e scalpitante D'Alema, e dopo un giro da senatore qualunque, finì definitivamente nel dimenticatoio.

A 80 anni, Occhetto sembra aver superato il trauma dell'oblio. Non si occupa più di politica attiva, e si è scoperto filosofo. Il frutto delle sue riflessioni è contenuto nel suo ultimo libro, "Pensieri di un ottuagenario-Alla ricerca della libertà dell'uomo" (Sellerio). Il tema dominante è quello della contrapposizione tra necessità e libertà. Il pensiero scientifico, scrive Occhetto, è sempre più orientato a credere che ogni decisione umana sia frutto di una catena di cause biochimiche, che si svolge a nostra insaputa. Ma allora il libero arbitrio? E la libertà dell'agire politico? E' per trovare risposte adeguate a queste domande epocali che Occhetto imbraccia la lanterna di Diogene e si avventura nell'esplorazione della natura umana. Nel suo viaggio prende spunto da Spinoza e Sartre, trova modo di difendere Marx (ma non Lenin), flirta con Nietzsche, rievoca Lucrezio ma soprattutto Leopardi e vede "nell'intricato, tortuoso, indecifrabile mondo dei nostri condizionamenti storici, sociali, biologici e psicologici, un impulso irriducibile verso la vita, un impegno insopprimibile nella sua difesa come individui e nella difesa della specie e della civiltà come uomini". Occhetto-Diogene si fa paladino di una "politica rigenerata". E qui il vecchio segretario del Pci sceglie accenti che possono suonare "grillini", e parla della necessità di un nuovo "potere diffuso" e di un assetto politico "che superi radicalmente la visione verticale e gerarchica". Se alle porte del ventesimo secolo Nietzsche aveva gridato che "Dio è morto", oggi per Occhetto "è giunta l'ora di gridare: i capi carismatici sono morti".

L'ex segretario del Pci non cita nessuno dei leader oggi in campo, che con la loro presenza sembrerebbero contraddire la sua analisi. Disserta invece del rischio del "totalitarismo democratico", frutto avvelenato del mix tra decisionismo e leadership carismatiche. Nell'utopia occhettiana, invece, non c'è più "l'uomo solo al comando, sia pure circondato da orpelli democratici". Ci sono dirigenti pubblici, cittadini tra i cittadini, che svolgono i loro incarichi in modo "transitorio e ruotante". "Tutti nel corso della loro vita devono essere governanti e governati", scrive Occhetto, riecheggiando ancora certe suggestioni libertarie approdate ai cinque stelle. Ma come si arriva al traguardo della democrazia circolare e diffusa? Occhetto auspica "un nuovo illuminismo" che favorisca il passaggio dalla globalizzazione economico-finanziaria alla globalizzazione democratica". "Io sogno per i miei nipoti un mondo in cui una sinistra finalmente purificata si confronti con una destra pulita. Il mondo delle nobili contrapposizioni e non il pantano dei vergognosi compromessi", è la conclusione del pamphlet di Occhetto. Ogni riferimento al Pd dell'era Renzi, c'è da scommetterci, è volutamente intenzionale.

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